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Nino Martino

Nino Martino

Evariste Vital Luminais – Les énervés de Jumièges (Musée des beaux-arts de Rouen)

“…Comunque è sempre un meccanismo che rompe la quotidianità. E in questa rottura emerge ciò che è dietro la maschera, non è più possibile l’andazzo quotidiano, così riposante. Tutto si mette in moto, le persone sono travolte, devono pensare, agire, intervenire per quello che sono veramente. …” Nasce dunque la possibilità di una critica sociale.

Le solite mani avanti: si può scrivere un bel racconto o un romanzo significativo (che magari passa alla storia, desiderio di tutti) in un qualunque genere, sottogenere, sub-sottogenere e sotto una qualunque etichetta data poi dall’editore. Perché in realtà chi scrive ha un’idea in testa, una voglia a volte indefinibile, sotterranea di dire, di esprimere, di comunicare. E si mette a lavorarci sopra, a riempire la carta o lo schermo di simboli, caratteri ecc. e il genere poi viene da sé, è il sapore necessario a quel testo, il meccanismo che permette di esprimere meglio quello che voleva dire.

Il mondo è pieno di un po’ di ottimi racconti e romanzi di ogni tipo di genere. Uno legge e poi chiude e pensa di aver vissuto qualche cosa in più della vita sua, di essere stato costretto a guardare il mondo da altri interessanti punti di vista, di aver sentito strane corde insospettate risuonare.

Il mondo è peraltro anche pieno di una marea di pessima letteratura, spesso decantata dal mercato, in ogni tipo di genere. Uno legge e poi chiude e pensa di aver perso il proprio tempo, se malgrado tutto è riuscito ad arrivare in fondo.

Esiste anche un altro tipo di lettore, quello che legge semplicemente per svagarsi, ama trame e cose e avventure non inquietanti, spaventi e brividi alla buona, senza troppi pensieri. Non ce l’abbiamo con lui. Perché mai dovremmo criticarlo?  Ognuno fa le sue scelte di come passare il proprio tempo e magari è persino simpatico e nostro amico. Il contrario avrebbe un aspetto un po’, come dire, asfissiante, eh…

Non è questo il problema, almeno per me, sia come lettore che come sedicente scrittore. Eh, anch’io leggo cose “leggere”, fumetti non d’autore, avventure alla buona (purché non ci siano troppi inseguimenti, sparatorie, sgozzamenti vari e cose così…).
A lato del puro intrattenimento ci può essere nella fantascienza e nel romanzo poliziesco contemporaneo la possibilità di esprimere cose che difficilmente potrebbero essere dette in altro modo.
Mi spiego. La struttura della vita quotidiana copre tutto, lo sappiamo bene. La routine necessaria a vivere e a lavorare consente la costruzione di maschere fittizie, e la mia maschera ha relazione sociali con altre maschere. Tutto è tranquillo, nella norma, i discorsi, i comportamenti, i gesti fanno parte di ciò che si conosce bene. Tutto ciò è riposante, a volte un po’ noioso, ma ce ne si può sempre lamentare un po’ e anche questo fa parte della routine. “basta, ho bisogno di fare uno stacco” si dice e si fa altra cosa, e l’altra cosa che si fa in realtà è ancora fatta di routine. Una spiaggia, il sole, il mare, la passeggiata nel tramonto.
Lo si è già fatto, si sa che è bello, che socialmente è riconosciuto come sereno e bello. Al tramonto si hanno i soliti pensieri un po’ malinconici. L’ora che volge al desio, per il navigante marino e per il  navigante della vita.

Ma nella narrativa della fantascienza può irrompere improvvisamente  il granello di sabbia che blocca l’ingranaggio del quotidiano. A volte è il confronto con una scoperta, a volte è un contatto con cose aliene, oppure misteri, cadute temporale, altri universi che si infiltrano nel nostro, l’improvviso rendersi conto di essere macinati in una distopia massacrante l’umanità.
Comunque è sempre un meccanismo che rompe la quotidianità. E in questa rottura emerge ciò che è dietro la maschera, non è più possibile l’andazzo quotidiano, così riposante. Tutto si mette in moto, le persone sono travolte, devono pensare, agire, intervenire per quello che sono veramente.
Al di là dell’aspetto umano singolo si apre la possibilità di critica sociale, perché emergono le trappole del presente, del potere, della menzogna, a causa del confronto duro con l’alieno, con l’altro da se. L’altro da sé che non può più essere esorcizzato attraverso i luoghi comuni del comune vivere.
Questo mi piace  molto e mi piacerebbe anche riuscire a scriverne, in maniera piana, veloce, accattivante, senza troppi sperimentalismi, in modo che tutti possano condividere o opporsi a ragion veduta.

Nel romanzo giallo – e soprattutto in certo romanzo poliziesco contemporaneo – è il delitto che è la rottura della finzione quotidiana. E attraverso la breccia creatasi nella consuetudine e nei riti normali si vede la realtà della vita e della società al di là delle apparenze. Un esempio per tutti Maj Siowall e peer Malo, gli svedesi, tra l’altro impegnatissimi nel sociale, che vedevano al di là delle apparenze di una società avanzata e sedicente civile, la mitica Svezia degli anni ’70. O Konatè, uno scrittore africano del Mali, che usò il dispositivo del romanzo giallo per parlare della società in cui viveva, del colonialismo, del sottile modo che aveva il colonialismo di opprimere e sfasciare e sfruttare (oh, roba pacifica, eh, niente armi… finché la gente è disposta a farsi sfruttare). Konatè non era uno tetro, i suoi detective non erano sempre ansiosi, ex drogati, o con oscuri passati indecifrabili , che altrimenti non fanno “personaggio“. Ed è riuscito a dare uno spaccato della sua terra e dei suoi problemi e delle sue tradizioni e dei contrasti che ne nascevano con l’esigenza di progresso e libertà. Lo ha fatto utilizzando appunto il romanzo poliziesco, perché era la formula adatta.
Per quanto riguarda la fantascienza mi piace molto la possibilità che trovo in essa della critica sociale, sia nell’avventura spaziale, sia nel vivere quotidiano, per il meccanismo di cui sopra.
E nel fantastico e nel Fantasy?

La letteratura del fantastico coincide con la letteratura fantasy e/o viceversa?

Sento spesso usare indifferentemente l’uno o l’altro termine per indicare apparentemente la stessa cosa. E, nell’uso che poi se ne fa della confusione, nasce il sospetto di una malizia, di un dolo.

Nella critica letteraria, mi riferisco a Caillois e Todorov principalmente, la letteratura del fantastico ha connotazioni assai precise che il fantasy (nell’accezione corrente italiana) non ha.

due testi di critica letteraria fondamentali per la letteratura del fantastico, entrambi recentemente ristampati,

Nel fantastico, nella letteratura del fantastico c’è sempre un elemento conturbante, un elemento di indecidibilità che spiazza, rompe la vita quotidiana, fa intravvedere altre possibilità, fa vedere le persone coinvolte per quello che sono nella loro realtà. Di nuovo c’è il fascino dello spezzarsi, dell’essere costretti a un altro punto di vista, a compiere delle scelte.
Non è chiaro quello che succede, si capisce che c’è un’anomalia e forse non si capisce nemmeno in che cosa consiste questa anomalia, solo che le cose non funzionano come nella vita normale, si è costretti a uscire dalla routine.
Si aprono infinite possibilità narrative. E questo è stato da sempre utilizzato dagli scrittori di varie epoche.

Caillois ne fa un’analisi molto acuta, parlando principalmente di pittura ma non solo. Celebre è la sua analisi del quadro di Evariste Vital Luminais – Les énervés de Jumièges (Musée des beaux-arts de Rouen)

Evariste Vital Luminais - Les énervés de Jumièges (Musée des beaux-arts de Rouen)
Evariste Vital Luminais – Les énervés de Jumièges (Musée des beaux-arts de Rouen)

Osservate questo dipinto. L’impressione che se ne ha è che rappresenta una situazione assolutamente spiazzante. Un giaciglio su una specie di zattera, due uomini esangui di cui uno sembra ancora vivo e l’altro pare morto. La zattera è trasportata lentamente dalla corrente, viene verso di voi se guardate la fiamma della candela accesa. Il fiume è lento, il cielo è una cappa opaca, senza nuvole e senza azzurro.
Decisamente inquietante, indecidibile, dalle molte interpretazioni e costringe a fermarsi, pensare, riflettere. L’elemento fantastico nella pittura. Nella letteratura fantastica c’è lo stesso meccanismo, come ne “Il manoscritto trovato a Saragoza”, nell’edizione curata da Caillois stesso.
Nel momento in cui si studia la storia dietro a questo quadro si apprende che era una sorta di supplizio inflitto, una cosa che era accaduta nella realtà, che accadeva veramente. I condannati venivano sgarrettati e abbandonati nella corrente a morire dissanguati. Terrificante. Ma ora è tutto chiaro e l’elemento fantastico sparisce. In tutta la letteratura fantastica ci sono questi elementi, questi meccanismi. In Calvino, in Borges, in Hofmann.
Per parlare degli italiani è impossibile una lettura pacifica e senza pensare e senza riflettere del Deserto dei Tartari, o de Il Barone rampante, ecc.

L’inquietudine, lo spiazzamento, l’indecidibilità, l’elemento fuori del normale introdotti in una narrazione apparentemente normale sono meccanismi che narrativamente permettono allo scrittore di esprimere cose che altrimenti non potrebbero essere dette e il lettore ne viene coinvolto.
Il fantastico è un genere letterario (ma non solo letterario, come abbiamo visto) che quindi ho sempre amato molto, sia come lettore che come sedicente scrittore.
Mi affascina la possibilità della critica sociale e di costume, della ricerca della realtà al di là delle apparenze, della formazione di una persona. La possibilità di cercare di capire – e trasmettere narrativamente – come si diventa quello che si è, di come ci siano punti nodali della propria vita e la necessità di scelte, di come si affronti l’ignoto, l’inusuale, l’altro.
E il Fantasy?
In Italia c’è, credo un equivoco sul termine inglese, che viene tradotto con fantastico. Nel fantasy c’è l’aspetto preponderante dell’aspetto magico. Maghi, streghe, elfi, Tutto ruota intorno a un potere che si scontra contro un altro potere. L’ambiente può essere medioevaleggiante, un medioevo ben lontano da quello descritto dagli studiosi de Les Annales – Bloch, Febvre, Braudel, Le Goff , tra i tanti – un medioevo da operetta, con principi, principesse, cattivi buoni, mezzi cattivi, mezzi buoni. Il problema principale diventa la presa del potere.
Mentre nel fantastico si apre la possibilità di una critica del mondo attraverso uno sguardo turbato, nel fantasy non c’è alcun problema. Se c’è una strega che fa le magie è dato per scontato dallo scrittore e dal lettore che esista la magia e gli incantesimi che permettono di fare o capire cose inusuali.
Sapete, è normale che una strega faccia brutti sortilegi o usi la magia nera per recare danno ai poveri malcapitati. È il suo lavoro.
Anche la lotta per il potere è tutto sommato normale. Guerre, prìncipi cattivi e principesse da salvare. Un potere cattivo che deve essere sostituito da un potere buono. Guerre, orde che si affrontano, con elfi e animali mostruosi – ma se osservate bene assai meno deformi e mostruosi di un acaro della polvere immortalato in una macrofotografia, non si riesce a immaginare un animale veramente alieno – draghi fiammeggianti da sconfiggere con acuminata lancia dal proprio cavallo.
È una recitazione, una rappresentazione di ciò che già bene conosciamo nella nostra vita quotidiana e nella nostra società. Ci immedesimiamo in chi lotta per la giustizia – almeno spero – in chi supera incantesimi con altri incantesimi. Non bisogna fare chissà quale critica sociale o peggio ancora “lotta di classe”. Basta trovare l’incantesimo giusto, magari cercandolo in un libro vecchio e polveroso che lo contenga.
Tutto in fondo è rilassante, divertente, sono tutte cose che conosciamo bene, una volta accettato l’elemento magico.
La magia stessa è una sorta di trappola: di fronte a un evento straordinario non c’è inchiesta, non c’è ricerca, perché è magia. È ovvio che le cose succedano così. Indagare su cosa, ricercare per capire cosa? È magia, ragazzi, mettetevelo in testa.
Questo fantasy è statico, non c’è possibilità di trasformazione, di ricerca del reale al di là delle apparenze.
Ovviamente: c’è sempre la possibilità per un bravo scrittore di usare questi meccanismi per dire altro. È la magia della scrittura. Una volta ho letto un bellissimo racconto in cui le fate, mi sembra di ricordare, venivano cacciate – o allevate? – per mangiarle, roba squisita. E di nuovo c’era il problema dell’altro da sé utilizzato per i propri orridi scopi. Una lettura che faceva pensare, non molto distensiva.
In un sottogenere – l’heroic fantasy – prevale la figura dell’eroe, della sfida, della vittoria contro le avversità della vita.
Ma allora perché scrivere o leggere fantasy o vari suoi sottogeneri?
Non si può stare sempre a pensare, riflettere, arrabbiarsi, lottare, capire. Esiste il gioco di puro divertimento, di passare un po’ di tempo rilassandosi vedendo o leggendo cose che in fondo sappiamo bene – ecco adesso succede così, ah, ma guarda che cattivo, bravo dagliele che se le merita, uccidi, uccidi, così, sì, così e guarda lei che è bellissima ma è insidiata dal losco principe adesso viene ribaltato tutto sia sempre maledetto il mio superiore che mi tartassa come dite che c’entra il mio capoufficio? ah no, volevo dire maledetto il valvassore che insidia il potere del duca giusto e lo tartassa ingiustamente …
Molti scrivono fantasy, e molti leggono fantasy. Fanno bene, perché no? Nessuna critica verso chi scrive e chi legge. Perché mai dovrei criticarli?
Non sto facendo ironia, penso proprio che vada bene, che non ci sia niente di moralmente iniquo a leggere questo tipo di fantasy. Diamoci una rasserenata, dunque.
Ma allora perché questa distinzione?

Perché dal il mio punto di vista esiste una critica letteraria che ha a più riprese trattato a fondo la questione e non si dovrebbe fare confusione tra fantastico e fantasy (accezione italiana).

È così importante non fare confusione? Sembra questione di lana caprina, con rispetto parlando delle capre, che sono bestiole assai intelligenti. Ma.

Ho sentito in televisione persone blasonate usare indifferentemente i due termini per concludere che la cosiddetta sinistra degli anni ’70 aveva preso una solenne cantonata – la stupidina sinistra, ah, ah, ma che stupidi e ridicoli – considerando il fantastico di destra, praticamente regalandolo ai suddetti destrorsi.

Ormai si è rimasti in pochi, potreste aspettare ancora un pochettino per riscrivere la storia. Negli anni ’70 la sinistra amava il fantastico, ovviamente, e per i motivi esposti più sopra, e c’era persino la nascita di diverse riviste di fumetti d’autore nell’ambito del fantastico. Si leggeva furiosamente libri di letteratura fantastica e saggi su di essa, oltre, sempre ovviamente, a tutto il resto. La sinistra considerava di destra gran parte del fantasy, nello specifico l’heroic fantsy. O meglio utilizzabile per fini diversi dal puro divertimento, per il fatto che costituivano un background utile, per loro. Non di destra in se stessa, dunque, ma largamente utilizzabile e strumentalizzabile, per introdurre un modo di pensare, degli archetipi, una concezione del mondo che favorisse la loro politica.
Appiattire tutto nell’etichetta fantastico senza più alcuna distinzione, e magari mettendoci pure la fantascienza (che non c’entra niente, ha altri dispositivi narrativi) diventa di fatto un intervento politico.

Maghi, streghe, elfi, Tutto ruota intorno a un potere (magari buono) che si scontra contro un altro potere (magari cattivo). L’ambiente è spesso medioevaleggiante, e come ho già detto è un medioevo da operetta, con principi, principesse, cattivi buoni. Il problema principale diventa la presa del potere, con contorno di magie inevitabili e strumenti dal potente e stupefacente effetto.

Scrivete fantasy? Ok, va bene, intrattenimento, ci vuole. E ho sottomano almeno due romanzi, considerati fantasy storico, che sono ben più di un intrattenimento senza pensiero. Sono l’epopea corale di una terra e di uomini che hanno fatto veramente la storia, come Federico II, in cui l’autore non inventa figure o personaggi, prende a piene mani dalla tradizione magica e mitologica della Sicilia e la mescola alla storia di Federico. L’epopea corale di una terra, appunto, ovvero i due romanzi L’aquila Nera e l’Isola di cristallo. Perché è possibile scrivere ottime cose anche utilizzando strumenti narrativi come il cosiddetto fantasy. Infatti non è lì il problema.
Il problema è la sua utilizzabilità che può essere fatta in una discreta maggioranza di opere, anche se non in tutte, come ho detto sopra.

Leggete fantasy? Ottimo, rilassatevi. Ci sta. Tutti abbiamo bisogno di tanto in tanto – o quasi sempre – di un po’ di distensione. La realtà che viviamo nel 2022 la sappiamo bene, inutile starla a riraccontare.

Con il fantastico non vi potete rilassare e attraverso la rottura dell’equilibrio del reale siete costretti a confrontarvi con la realtà al di là delle apparenze quotidiane.

Ognuno fa le sue scelte sia per scrivere che per leggere. Nel coro di questa strana specie animale che è l’umanità c’è di tutto, ci sono contraddizioni, lotte, accanimenti, idiozie, genialità, mediocrità, sopraffazioni, arte, passioni, illuminazioni, progresso, diritti negati e diritti finalmente conquistati. Cerchiamo di sopravvivere e magari su Marte ci arriveremo veramente.

Ma non dite mai più che la sinistra degli anni 70 odiasse il fantastico. È un’interpretazione maliziosa. Come in ogni narrazione a posteriori, che mescoli le carte rendendo le cose equivalenti, il sospetto del dolo è inevitabile.

Una volta ero così, ma poi sono cresciuto e ho capito quanto ero stupido pensare che il fantastico fosse di destra. NO. Non è andata così.

un articolo che può essere letto in collegamento: prefazione di Silvia Treves al libro A love supreme

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