Dina Lentini

Appunti sulla crisi italiana nell’età del renzismo

Come è noto agli analisti della storia e della società europea, l’atteggiamento “rivoluzionario” e “movimentista” ha riscosso consensi di massa a partire dal primo novecento, da quando, cioè, la massa ha iniziato ad essere soggetto politico…

Come è noto agli analisti della storia e della società europea, l’atteggiamento “rivoluzionario” e “movimentista” ha riscosso consensi di massa a partire dal primo novecento, da quando, cioè, la massa ha iniziato ad essere soggetto politico. Bastarono pochi anni a consegnare direttamente nelle braccia del populismo autoritario e fascista nazioni che avevano pagato il prezzo più alto al massacro della Grande Guerra e che si erano appena affacciate ai modelli del liberalismo e della democrazia moderna.

una piccola citazione dal film di Fritz Lang Metropolis. Purtroppo, oggi, sembra essere una citazione “colta” (N.d.R.)

L’Italia, in particolare, fu travolta da quei sentimenti aggressivi che già si erano manifestati nella crisi autoritaria di fine secolo e che ritornavano a imporsi nel clima di sfiducia post- bellico. La “rivoluzione” fascista fece decollare un sistema che bloccava le conquiste sociali e politiche del ’19 volte alla democratizzazione dei popoli e alla loro proiezione in uno scenario di confronto internazionale. Per le masse, movimentate ed eccitate dalla propaganda, il fascismo rappresentò il cambiamento, l’audacia dell’anti-partito liquidatore delle cricche ottocentesche, l’atto di orgoglio di un paese arretrato e umiliato. Si vide poi quanto fosse pericoloso il fascino del nuovo con la sua ambiguità di contenuti che attrasse all’inizio culture e ideologie differenti.

Eppure per vent’anni si impose uno stile brutale, dispregiatore di ogni forma di riflessione intellettuale e di critica. Il desiderio di rivalsa, di azione maschia e pragmatica piaceva tanto a uomini e donne ripiegati nel chiuso delle loro province. Erano stati incitati a cercare altrove, in un nemico interno o esterno, il capro espiatorio al proprio malessere. Corsi sul carro del vincitore, non ne ebbero grandi vantaggi, ma contribuirono con il loro consenso a risolvere la crisi per i grandi blocchi di potere economico.

Naturalmente l’Italia non detiene la prerogativa di un modello sociale che, dietro la forma superficiale del nuovo, nasconde scelte fortemente reazionarie. Con le debite differenze di tempi e di luoghi, gli italiani sono in buona compagnia e, come altri, non hanno imparato dalla storia. La priorità del fare e del fare in fretta è un vecchio cavallo di battaglia buono per ogni tempo di crisi. Piace. Le motivazioni di questo successo sono sempre le stesse e sono di carattere emotivo. Nel migliore dei casi si guarda al cambiamento come speranza e ci si lamenta, spesso giustamente, della lentezza che paralizza ogni iniziativa e che nasconde l’attaccamento a privilegi che non possono essere scalfiti. Ma ci sono altre argomentazioni meno nobili: non importa dove ci porta il movimeio sono il testo in un editor classico e in un’unica colonna.io sono il testo in un editor classico e in un’unica colonna.io sono il testo in un editor classico e in un’unica colonna.io sono il testo in un editor classico e in un’unica colonna.io sono il testo in un editor classico e in un’unica colonna.io sono il testo in un editor classico e in un’unica colonna.io sono il testo in un editor classico e in un’unica colonna.io sono il testo in un editor classico e in un’unica colonna.io sono il testo in un editor classico e in un’unica colonna.io sono il testo in un editor classico e in un’unica colonna.nto purché sia vincente, purché non si venga esclusi dalla nuova élite salita al potere.

Renzi piace nel bel paese e, nonostante alcuni scontri, anche in Europa. Nuovo maschio dominante della politica italiana, ha saputo incarnare il mito di un’ascesa rapidissima e ha costruito un’immagine mediatica che, per ora, paga. Circondato da figure di basso profilo che gli danno lustro, ha scelto anche lui, come a suo tempo Berlusconi, una politica largamente al femminile: le bellezze provocanti che attorniavano il Cavaliere sono state sostituite da figure più presentabili che hanno il garbo e i modi di professorine pedanti.

Definito in tanti modi, è stato assimilato al modello di politico americano, ma anche a quello del politico tout-court: abile, capace di scalare velocemente le tappe, scalzare i rappresentanti della vecchia classe dirigente, raggiungere il potere e mantenerlo. Perché di questo, alla fine, si tratta: buon politico è, nell’immaginario conservatore, chi riesce ad eliminare il suo precedessore con metodi più efficaci e a gestire il potere. Si tratta di una concezione della politica non già come gestione della cosa pubblica, ma come direzione dall’alto da parte di un gruppo che ha il diritto-dovere di liquidare l’avversario. E’ un’idea fortemente conservatrice che si ritrova all’interno di schieramenti ideologici diversi e che porta direttamente alla neutralizzazione del dibattito nella società civile, alla passività delle masse. L’esercito anonimo dei sostenitori attenderà, come sempre, le briciole. Ma sarà anche pronto, in caso di delusione o di debolezza, a fargli pagare il dazio: è la legge della politica, quella di impostazione machiavellica.

Nel frattempo, guai a fermarsi, a ragionare, a criticare:

il job’s act va avanti, illudendo ed escludendo di fatto i giovani. Convinti della natura conservatrice del posto fisso, privi delle garanzie loro offerte in altre nazioni europee, vengono buttati nel nulla della precarietà istituzionalizzata o nel salto nel buio della solita soluzione all’italiana: l’avventura migratoria…

gli studenti hanno da tempo perso quella capacità di pensare in modo alternativo che cinquant’anni fa era stata prodotta, paradossalmente, da una scuola sicuramente classista e autoritaria ma ancora in grado di generare la propria antitesi. Oggi l’umiliazione del lavoro intellettuale e la penalizzazione economica e sociale degli insegnanti ha ulteriormente allontanato la scuola dai livelli europei, mentre la richiesta di effettiva democratizzazione della scuola di massa è stata elusa con criteri di accesso e con una riforma universitaria che di fatto rallentano o scoraggiano il raggiungimento dei livelli più alti di istruzione. Ma ciò che importa è che i giovani si convincano che un lavoro vale l’altro, che è bello e dinamico fare il barista per qualche mese, aprire un negozio che fallirà se va bene nel tempo di un anno, fare qualcosa per sbarcare il lunario senza prospettive se non i soldi in tasca da spendere il venerdì sera. Tutto ciò ricorda qualcosa di molto vecchio: la condizione di precarietà (e di abbrutimento) dell’operaio nella prima rivoluzione industriale.

Toccando uno dei motivi oggi più cavalcati, quello della rabbia nei confronti della “casta”, bisognerebbe ricordare che mentre la massa anonima dei giovani viene gettata in pasto alle leggi spietate del mercato, ai figli della vecchia e nuova classe dirigente è stato riservato il massimo della protezione e del privilegio..

rassegnati ad futuro che prospetta loro la riduzione drastica della pensione o il ricorso all’assicurazione privata, felici di entrare almeno nel mondo delle partite iva, i precari di oggi se la prendono con i pensionati, additati come responsabili dell’aumento del debito pubblico..

si permette alla destra più retriva di invocare la liquidazione dello stato sociale e di attaccare i sindacati con toni e modi che il mondo politico aveva avuto la decenza di abbandonare da almeno quarant’anni..

le tasse locali e indirette aumentano e, da anni ormai, la crisi è pagata innanzitutto dai lavoratori a reddito fisso con trattenute alla fonte di un terzo dello stipendio e con il blocco dei contratti, dai pensionati, da tutto ciò che rappresenta un prelievo facile e immediato per lo stato..

viceversa, per i miliardi annui di evasione fiscale i tempi si dilatano, le cose sono difficili, la rottamazione si fa decisamente più lenta..

la questione sociale esplode, certo, ma la priorità va a ”produzione e sviluppo”: un modello di neoliberismo selvaggio che, cercando di favorire la ripresa assegnando risorse solo alle imprese nella speranza di una ricaduta generale positiva, ripete errori del passato che non hanno mai risolto la crisi, perlomeno per i lavoratori. La tendenza, dichiarata, è quella che porta ad eliminare il contenzioso capitale/lavoro, a marcare una terza via tra socialismo e capitalismo capace di superare lo scontro di classe ormai obsoleto. Questo “nuovo” obiettivo non ricorda qualcosa di già visto nella storia italiana? Nel 1927 la Carta del Lavoro di Mussolini presentava la stessa ambiziosa volontà rivoluzionare le relazioni economico-sociali e la stessa ambiguità: di fatto, un regalo alla grande imprenditoria e agli altri poteri forti, la liquidazione di ogni opposizione e la tanto agognata normalizzazione e stabilità..

del resto, da tempo ormai il modello imprenditoriale è assurto, pressoché in tutto l’arco dello schieramento politico, a modello vincente. Bisognerebbe ricordare i tentativi di riformare la scuola ispirandosi proprio alla cosiddetta cultura aziendale. Bisognerebbe anche ricordare, a quanti elogiano le virtù del capitano d’industria, gli esiti fallimentari dei grandi gruppi economici e la spregiudicatezza con la quale alcune note proprietà hanno messo al riparo i loro profitti prima di distruggere la vita di intere famiglie di lavoratori e di ingenui risparmiatori..

anche qui, nel campo della lotta al recupero dei crediti pubblici e privati, la strada si fa in salita. Più facile difendere il ruolo dell’imprenditore-avventuriero che sostenere con credito e incentivi le aziende artigiane a conduzione familiare..

Intanto il dipendente pubblico è assimilato al parassita per eccellenza e con la motivazione di colpire gli sprechi si attacca ogni settore della pubblica amministrazione per colpire, di fatto, il concetto stesso di controllo da parte dello stato.. perché non colpire le lungaggini burocratiche o i clientelismi salvando al tempo stesso il rispetto delle procedure da parte di funzionari qualificati che devono svolgere il loro ruolo di garanti del pubblico interesse?

con la stessa motivazione è criticato il settore della sanità che ha consentito per anni agli italiani di beneficiare di un sistema di assistenza capillare sull’intero territorio nazionale e dei risultati ottenuti dai ricercatori italiani, tra le migliori intelligenze a livello mondiale …perché smantellarlo inseguendo il modello americano? Perché non condurre una battaglia contro i singoli casi di malasanità, denunciando la corruzione di dirigenti sanitari e di primari selezionati per meriti politici? Qui, di nuovo, la “rottamazione” frena, gli interventi si fanno più lenti…forse si attende che la gente, sempre più in difficoltà sul piano della cultura scientifica, cominci a preferire i cosiddetti rimedi naturali tanto di moda, rifiuti le cure ospedaliere e i vaccini..

analogamente, nel campo della giustizia, forse quello più sensibile e per il quale davvero sarebbe necessaria una svolta ispirata ai livelli europei e internazionali, quali interventi mostrano a tutt’oggi una volontà di smontare gli antichi privilegi della casta di avvocati, giudici, notai?

intanto la politica si degrada, si svuota di dibattito e di livello culturale, assume i toni volgari e rozzi dell’uomo della strada o della rissa da bar…

si azzerano le critiche, dentro e fuori il governo e il partito, lanciando il Partito della Nazione: piace davvero anche questa titolazione dal sapore patriottico che evoca scenari di Partito e Pensiero Unico?..

si invocano leggi che più maggioritarie non si può: una volta si chiamavano leggi-truffa e sia vecchi democristiani e sia “realistici” esponenti della sinistra hanno più volte tentato di applicarle in nome del mito della “stabilità”: forse, con questa veste più moderna, disincanta e aggressiva andranno in porto..

l’attacco alla Costituzione nata dall’Antifascismo e dalla Resistenza è in atto da anni: come per l’articolo 18, già di fatto liquidato, si tratta di colpirne i principi, i valori ispiratori..

intanto si mostrano i muscoli all’Europa, non certo per denunciare i traffici bancari e le scelte autoritarie dell’Unione, ma cavalcando la rabbia e il localismo più becero:“Anche noi sappiamo cantarle a Bruxelles!..”

si vende tutto: industrie, monumenti, territorio. Perché no? Tutto è business.. e tutto è comunicazione, audience, populismo d’accatto dei salotti televisivi e dei social network..

del resto, l’importante è vincere.

Ma l’attacco più grave al passato è quello sistematicamente rivolto alle fondamenta democratiche dell’Italia, alla Costituzione, come si è detto sopra, al Parlamento. Anche in questo caso ciò che viene presentato come nuovo è una vecchia mossa pericolosa..

Qui sotto vengono riportati due testi classici della storiografia sul Fascismo: sono molto noti e gli insegnanti, nonostante l’avvilimento in cui si trovano, continuano a farli studiare e li commentano nelle loro classi analizzandoli in tutte le loro sfumature. Ma di questi tempi, occorre forse ricordarli alla memoria comune che si è persa per strada.. Non si tratta, evidentemente, di una citazione che vuole presentarsi come accusa di fascismo nei confronti del Presidente del Consiglio. I modi particolarmente arroganti e autoritari di Renzi non bastano: sarebbe un’accusa facile e superficiale. Il fascismo fu ben altra cosa. Va anche considerato il fatto che il renzismo si configura come il risultato moderno e rampante di scelte politiche pregresse, di movimenti ideologici e tattici all’interno di grandi aree della vecchia e nuova destra così come all’interno dei percorsi della sinistra: le responsabilità partono da lontano.

In ogni caso i tempi sono quelli, pericolosi, della rabbia viscerale, della protesta di pancia che piace a parte dell’opinione pubblica perché soddisfa l’esigenza di slogans semplicistici e imbevuti di luoghi comuni: piacciono i modi bruschi e volgari di Grillo e persino di Salvini.

E’ bene comunque ricordare le insidie di tutte le forme di populismo conservatore celate dietro l’orpello dei miti del pragmatismo e del progresso, che siano o meno sfociate in regimi di tipo fascista. In questo senso si propone la rilettura di questi testi. E’ un semplice invito di carattere generale alla conoscenza della storia e all’esercizio della critica: sono le sole armi in grado di combattere ignoranza o ingenuità.

Nel ’19 toccò a D’Annunzio affascinare con la sua liturgia del consenso uomini che appartenevano a schieramenti diversi, amalgamando avventurieri, revanscisti, frange di socialisti e anarchici. Allora il catalizzatore fu l’esperienza atroce della guerra. Sarà la crisi economica a provocare un altro salto verso nuove forme di “modernizzazione”?

B. Mussolini, Il discorso del bivacco (16.11.1922)

Mi onoro di annunziare alla Camera che Sua Maestà il Re, con decreto 31 scorso ottobre ,ha accettato le dimissioni presentate dall’onorevole avvocato Luigi Facta, deputato al Parlamento, dalla carica di presidente del Consiglio dei ministri e quelle dei suoi colleghi ministri segretari di Stato, nonché quelle dei sottosegretari di Stato, e mi ha dato incarico di comporre il nuovo Ministero.

Signori!

Quello che io compio oggi, in quest’aula, è un atto formale di deferenza verso di voi e per il quale non vi chiedo nessun attestato speciale di riconoscenza.

Da molti, anzi, da troppi anni, le crisi di Governo erano poste e risolte dalla Camera attraverso più o meno tortuose manovre ed agguati, tanto che una crisi veniva regolarmente qualificata un assalto e il Ministero rappresentato da una traballante diligenza postale.

Ora è accaduto per la seconda volta, nel breve volgere di un decennio, che il popolo italiano – nella sua parte migliore – ha scavalcato un Ministero e si è dato un Governo al di fuori, al di sopra e contro ogni designazione del Parlamento.

Il decennio di cui vi parlo sta fra il maggio del 1915 e l’ottobre del 1922.

Lascio ai melanconici zelatori del supercostituzionalismo il compito di dissertare più o meno lamentosamente su ciò. Io affermo che la rivoluzione ha i suoi diritti. Aggiungo, perché ognuno lo sappia, che io sono qui per difendere e potenziare al massimo grado la rivoluzione delle “camicie nere”, inserendole intimamente come forza di sviluppo, di progresso e di equilibrio nella storia della Nazione.

Mi sono rifiutato di stravincere, e potevo stravincere. Mi sono imposto dei limiti. Mi sono detto che la migliore saggezza è quella che non vi abbandona dopo la vittoria. Con trecentomila giovani armati di tutto punto, decisi a tutto e quasi misticamente pronti ad un mio ordine, io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentato di infangare il Fascismo.

Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli; potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto.

Gli avversari sono rimasti nei loro rifugi; ne sono tranquillamente usciti, ed hanno ottenuto la libera circolazione: del che approfittano già per risputare veleni e tendere agguati.

Ho costituito un Governo di coalizione e non già con l’intento di avere una maggioranza parlamentare, della quale posso oggi fare benissimo a meno; ma per raccogliere in aiuto della Nazione boccheggiante quanti, al di sopra delle sfumature dei partiti, la stessa Nazione vogliono salvare.

Ringrazio dal profondo del cuore i miei collaboratori, ministri e sottosegretari; ringrazi i miei colleghi di Governo, che hanno voluto assumere con me le pesanti responsabilità di quest’ora: e non posso non ricordare con simpatia l’atteggiamento delle masse lavoratrici italiane, che hanno confortato il moto fascista con la loro attiva o passiva solidarietà.

Credo anche di interpretare il pensiero di gran parte di questa Assemblea e certamente della maggioranza del popolo italiano, tributando un caldo omaggio al Sovrano, il quale si è rifiutato ai tentativi inutilmente reazionari dell’ultima ora, ha evitato la guerra civile e permesso di immettere nelle stracche arterie dello Stato parlamentare la nuova impetuosa corrente fascista uscita dalla guerra ed esaltata dalla vittoria.

Prima di giungere a questo posto, da ogni parte ci chiedevano un programma. Non sono – ahimè – i programmi che difettano in Italia: sibbene gli uomini e la volontà di applicare i programmi. Tutti i problemi della vita italiana, tutti, dico, sono già stati risolti sulla carta: ma è mancata la volontà di tradurli nei fatti. Il Governo rappresenta, oggi, questa ferma e decisa volontà.

Le grandi città ed in genere tutte le città sono tranquille: gli episodi di violenza sono sporadici e periferici, ma dovranno finire.

I cittadini, a qualunque partito siano iscritti, potranno circolare; tutte le fedi religiose saranno rispettate, con particolare riguardo a quella dominante che è il cattolicesimo; le libertà statutarie non saranno vulnerate; la legge sarà fatta rispettare a qualunque costo.

Lo Stato è forte e dimostrerà la sua forza contro tutti, anche contro l’eventuale illegalismo fascista, poiché sarebbe un illegalismo incosciente ed impuro che non avrebbe più alcuna giustificazione.

Debbo però aggiungere che la quasi totalità dei fascisti ha aderito perfettamente al nuovo ordine di cose. Lo Stato non intende abdicare davanti a chicchessia.

Chiunque si erga contro lo Stato sarà punito. Questo esplicito richiamo va a tutti i cittadini ed io so che deve suonare particolarmente gradito alle orecchie dei fascisti, i quali hanno lottato e vinto per avere uno Stato che si imponga a tutti, dico a tutti, con la necessaria inesorabile energia.

Non bisogna dimenticare che al di fuori delle minoranze che fanno della politica militante ci sono 40.000.000 di ottimi Italiani i quali lavorano, si riproducono, perpetuano gli strati profondi della razza, chiedono ed hanno il diritto di non essere gettati nel disordine cronico, preludio sicuro della generale rovina.

Poiché i sermoni – evidentemente – non bastano, lo Stato provvederà a selezionare e a perfezionare le forze armate che lo presidiano: lo Stato fascista costituirà forse una polizia unica, perfettamente attrezzata, di grande mobilità e di elevato spirito morale: mentre esercito e marina – gloriosissimi e cari ad ogni italiano –, sottratti alle mutazioni della politica parlamentare , riorganizzati e potenziati, rappresenteranno la riserva suprema della Nazione all’interno ed all’estero.

Signori!

Da ulteriori comunicazioni apprenderete il programma fascista, nei suoi dettagli e per ogni singolo dicastero. Io non voglio, finché mi sarà possibile, governare contro la Camera: ma la Camera deve sentire la sua particolare posizione che la rende passibile di scioglimento fra due giorni o fra due anni.

Chiediamo i pieni poteri perché vogliamo assumere le piene responsabilità: Senza i pieni poteri, voi sapete benissimo che non si farebbe una lira – dico una lira – di economia. Con ciò non vogliamo escludere la possibilità di volonterose collaborazioni che accetteremo cordialmente, partano esse da deputati, da senatori o da singoli cittadini competenti. Abbiamo ognuno di noi il senso religioso del nostro difficile compito. Il paese si conforta ed attende.

Non gli daremo ulteriori parole ma fatti. Prendiamo impegno formale e solenne di risanare il bilancio e lo risaneremo. Vogliamo fare una politica estera di pace, ma nel contempo di dignità e di fermezza: e la faremo. Ci siamo proposti di dare una disciplina alla Nazione e la daremo. Nessuno degli avversari di ieri, di oggi, di domani, si illuda sulla brevità del nostro passaggio al potere.

Illusione puerile e stolta come quelle di ieri. Il nostro Governo ha basi formidabili nella coscienza della Nazione ed è sostenuto dalle migliori, dalle fresche generazioni italiane.

Non v’è dubbio che in questi ultimi giorni un passo gigantesco verso l’unificazione degli spiriti sia stato compiuto. La Patria italiana si è ritrovata ancora una volta, dal nord al sud, dal continente alle isole generose che non saranno più dimenticate, dalla metropoli alle colonie operose del Mediterraneo e dell’Atlantico. Non gettate, signori, altre chiacchiere vane alla Nazione. Cinquantadue iscritti a parlare sulle mie comunicazioni sono troppi.

Lavoriamo piuttosto con cuore puro e con mente alacre per assicurare la prosperità e la grandezza della Patria.

Così Iddio mi assista nel condurre a termine vittorioso la mia ardua fatica.

La Carta del lavoro (21.4.1927)

I La Nazione Italiana è un organismo avente fini, vita, mezzi di azione superiori, per potenza e durata, a quelli degli individui divisi o raggruppati che la compongono. E’ una unità morale, politica ed economica, che si realizza integralmente nello Stato fascista.

II Il lavoro, sotto tutte le forme organizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche e manuali, è un dovere sociale.. A questo titolo, e solo a questo titolo, è tutelato dallo Stato.

Il complesso della produzione è unitario dal punto di vista nazionale. I suoi obiettivi sono unitari e si riassumono nel benessere dei singoli e nello sviluppo della potenza nazionale.

III L’organizzazione sindacale e professionale è libera. Ma solo il sindacato , legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello Stato, ha il diritto di rappresentare legalmente tutta la categoria di datori di lavoro o di lavoratori, per cui è costituito; di tutelarne, di fronte allo Stato e alle altre associazioni professionali, gli interessi; di stipulare contratti collettivi di lavoro obbligatori per tutti gli appartenenti alla categoria; di imporre loro contributi e di esercitare, rispetto ad essi, funzioni delegate di interesse pubblico.

IV Nel contratto collettivo di lavoro trova la sua espressione concreta la solidarietà fra i vari fattori della produzione mediante la conciliazione degli opposti interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori, e la loro subordinazione agli interessi superiori della produzione.

V La Magistratura del Lavoro è l’organo con cui lo Stato interviene a regolare le controversie del lavoro, sia che vertano sull’osservanza dei patti e delle altre norme esistenti, sia che vertano sulla determinazione di nuove condizioni di lavoro.

VI Le associazioni professionali legalmente riconosciute assicurano l’uguaglianza giuridica tra i datori di lavoro e i lavoratori, mantengono la disciplina della produzione e ne rappresentano integralmente gli interessi.

In virtù di questa integrale rappresentanza, essendo gli interessi della produzione interessi nazionali, le corporazioni sono dalla legge riconosciute come organi di Stato.

Quali rappresentanti degli interessi unitari della produzione, le corporazioni possono dettar norme obbligatorie sulla disciplina dei rapporti di lavoro ed anche sul coordinamento della produzione tutte le volte che ne abbiano avuti i necessari poteri dalle associazioni collegate.

VII Lo Stato corporativo considera l’iniziativa privata nel campo della produzione come lo strumento più efficace e più utile nell’interesse della Nazione.

L’organizzazione privata della produzione essendo una funzione di interesse nazionale, l’organizzazione dell’impresa è responsabile dell’indirizzo della produzione di fronte allo Stato.

Dalla collaborazione delle forze produttive deriva fra esse reciprocità di diritti e di doveri. Il prestatore d’opera, tecnico, impiegato od operaio,è un collaboratore attivo dell”impresa economica, la direzione della quale spetta al datore di lavoro che ne ha la responsabilità.

VIII Le associazioni professionali di datori di lavoro hanno l’obbligo di promuovere in tutti i modi l’aumento e il perfezionamento della produzione e la riduzione dei costi.

Le rappresentanze di coloro che esercitano una libera professione o un’arte e le associazioni di pubblici dipendenti concorrono alla tutela degli interessi dell’arte, della scienza e delle lettere, al perfezionamento della produzione e al conseguimento dei fini morali dell’ordinamento corporativo.

IX L’intervento dello Stato nella produzione economica ha luogo soltanto quando manchi o sia insufficiente l’iniziativa privata o quando siano in giuoco interessi politici dello Stato. Tale intervento può assumere la forma del controllo, dell’incoraggiamento e della gestione diretta.

X Nelle controversie collettive del lavoro l’azione giudiziaria non può essere intentata se l’organo corporativo non ha prima esperito il tentativo di conciliazione.

Nelle controversie individuali, concernenti l’interpretazione e l’applicazione dei contratti collettivi di lavoro, le associazioni professionali hanno facoltà di interporre i loro uffici per la conciliazione.

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