Sonia Cannas

intervalli

Gli elementi basilari di tutta la teoria musicale e della tecnica di un musicista sono le scale e gli intervalli. Almeno una volta nella vita tutti avrete sentito suonare una scala da un musicista o intonare la successione di note Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si, Do (…)

Introduzione

Gli elementi basilari di tutta la teoria musicale e della tecnica di un musicista sono le scale e gli intervalli.

Almeno una volta nella vita tutti avrete sentito suonare una scala da un musicista o intonare la successione di note Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si, Do da un cantante.

La scala è infatti una successione di un dato numero di suoni, il cui numero varia a seconda della scala considerata1. L’esempio sopra riportato è una successione di 7 suoni distinti, con in più la ripetizione del primo suono (Do) però più acuto, in musica si dice un’ottava sopra. Infatti la scala si definisce come una successione graduale di un dato numero di suoni, che dividono in altrettante parti l’intervallo di ottava.

Quindi l’ottava è un particolar tipo di intervallo, ma cos’è un intervallo?

Un intervallo indica la distanza tra due suoni (es: Do – Fa, Reb – Sol, Si – Fa#, ecc…). Più precisamente si definisce intervallo la differenza d’altezza fra due suoni, esprimibile in fisica acustica con il rapporto delle frequenze2 dei suoni stessi. Teoricamente gli intervalli sono in numero illimitato, poichè infiniti sono i suoni possibili in natura, ma nella pratica di qualsiasi sistema musicale essi si riducono ad un numero limitato. Il nome di un intervallo si determina contando le linee e gli spazi che separano le due note sul rigo musicale. Oppure potete determinarlo contando le note della scala diatonica (cioè della scala citata sopra che tutti conoscete, vedi par. le scale musicali) partendo dalla prima nota dell’intervallo fino all’ultima compresa.

intervalli

Le note di una scala sono definite anche gradi3, e nel nostro sistema a seconda della posizione che occupano hanno un nome che indica la loro funzione nella scala:

  • I grado – tonica: è la nota iniziale della scala;
  • II grado – sopratonica;
  • III grado – mediante (o modale): determina il carattere della scala, cioè se è maggiore o minore;
  • IV grado – sottodominante;
  • V grado – dominante: è il grado più importante dopo la tonica, viene chiamata in tal modo poiché è la nota dominante della scala;
  • VI grado – sopradominante
  • VII grado – sensibile o sottotonica: la sensibile tende a risolvere sulla tonica, e si trova in tutte le scale eccetto che nella scala minore naturale e nella scala melodica discendente (vedi par. le scale musicali) in cui prende il suo posto la sottotonica.

Quasi tutta la musica, anche quella delle culture non occidentali, è tonale, cioè è organizzata attorno alla tonica.

La distanza tra due gradi consecutivi può essere di tono o di semitono, ciò dipende dalla posizione che occupano nella scala considerata. Nel nostro sistema, il sistema temperato equabile, il semitono è la metà di un tono, e tale distanza può essere ascoltata suonando due tasti consecutivi di un pianoforte.

Esistono due tipi di semitono:

  • semitono cromatico: formato da due note con lo stesso nome ma diversa altezza (es: Do – Do#, Mib – Mi)4;
  • semitono diatonico: formato con due note con diverso nome e diversa altezza (es: Fa# – Sol, La – Sib).

e nel sistema temperato equabile essi coincidono. Di conseguenza note come Do# e Reb (Fa# e Solb, Sol# e Lab, ecc…) sono enarmoniche, cioè sono lo stesso suono, infatti nel pianoforte esiste un unico tasto per entrambi.

tastiera

In realtà un tono è formato da 9 comma, dove per comma si intende la differenza infinitesimale di frequenza tra due suoni di altezza quasi uguale, e il semitono cromatico è composto da 5 comma, mentre quello diatonico da 4. Quindi Do# e Reb in realtà non sono enarmoniche, c’è una piccola differenza.

Negli strumenti ad intonazione fissa come il pianoforte non è possibile mettere in evidenza tale differenza, si dovrebbero costruire delle tastiere lunghissime e scomodissime da suonare, soprattutto dopo tutta la tecnica pianistica che si è sviluppata negli ultimi secoli. Diciamo che quindi per una differenza così piccola “non ne varrebbe la pena”. Invece in strumenti come gli archi, i fiati o la voce umana, è possibile, ed è quello che si fa comunemente nella pratica lasciandosi guidare dal proprio orecchio. Tutto ciò dipende dal fatto che il temperamento equabile nasce per risolvere i problemi della scala naturale (che nasce a sua volta per risolvere alcuni problemi di quella pitagorica) come quello dell’accordatura degli strumenti ad intonazione fissa, ma ciò avviene a discapito della naturalezza degli intervalli, che infatti si perde. Si tratta però di differenze molto piccole, quindi sia i teorici che i musicisti hanno preferito accettare questo compromesso, ma tutto ciò verrà chiarito meglio nei prossimi articoli.

Le scale musicali

Ogni sistema musicale ha la sua scala, definita sia dalla diversa distribuzione degli intervalli fra i gradi che la costituiscono che per la loro ampiezza. I procedimenti per dividere l’ottava in un dato numero di parti sono stati principalmente tre, da essi hanno avuto orgine le scale: pitagorica, zarliniana (o naturale) e temperata.

La musica occidentale si basa sul sistema temperato equabile. La sua scala si distingue anzitutto in cromatica e diatonica.

  • La scala cromatica è la scala che comprende tutti i suoni possibili del sistema, quindi nel temperamento equabile è definita dalla successione di 12 semitoni contigui.
  • La scala diatonica è una scala di 7 note e ad essa appartengono due grandi tipi di scale:
    • la scala maggiore, costituita da 5 toni e 2 semitoni, questi ultimi disposti l’uno tra il III e il IV grado e l’altro tra il VII e l’VIII;
    • la scala minore che si presenta in tre diverse forme:
      • la scala minore naturale, costituita anch’essa da 5 toni e 2 semitoni, questi ultimi disposti tra il II e il III grado e tra il V e il VI;
  • la scala minore melodica, costituita da 5 toni e 2 semitoni sia nel moto ascendente che in quello discendente, ma mentre nel moto ascendente i semitoni si trovano l’uno tra il II e il III grado (come nel moto discendente) e l’altro tra il VII e l’VIII, in quello discendente quest’ultimo semitono si sposta fra VI e V grado.

Tutte le scale, maggiori o minori, presentano la stessa successione di toni e semitoni, indipendentemente dalla tonica scelta. Conseguentemente a ciò tutte le scale, eccetto Do Maggiore, hanno delle note sempre alterate.

Esempio – Costruzione di Re Maggiore: nella scala maggiore i semitoni si trovano fra i gradi III-IV e VII-VIII. Quindi:

I grado: Re          +1 Tono ->
II grado: Mi          +1 Tono ->
III grado: Fa#       +1 semitono ->
IV grado: Sol        +1 Tono ->
V grado: La          +1 Tono ->
VI grado: Si          +1 Tono ->
VII grado: Do\#   +1 semitono -> Re

Quindi in un brano in Re Maggiore il Fa e il Do sono sempre alterati, perciò si parla di alterazioni permanenti e non vengono poste affianco ad ogni Fa e Do, ma all’inizio del pentagramma5

Esempio – Costruzione di Fa Maggiore: facendo lo stesso ragionamento di prima:

I grado: Fa          +1 Tono ->II grado: Sol          +1 Tono ->III grado: La       +1 semitono ->IV grado: Sib        +1 Tono ->V grado: Do          +1 Tono ->VI grado: Re          +1 Tono ->VII grado: Mi   +1 semitono -> Fa

Ad ogni scala maggiore viene associata una scala relativa minore, la cui tonica si trova una terza minore6 sotto quella della scala maggiore.

Tutte le possibili scale maggiori, con le relative minori, formate su ognuno dei dodici suoni della scala cromatica, possono essere disposte nel circolo delle quinte.

In rosso sono segnate le tonalità maggiori, in verde quelle minori. In corrispondenza di ciascuna tonalità c’è un pentragramma con le alterazioni in chiave e nel cerchio azzurro il numero di alterazioni.

Tale disposizione prevede le armature di chiave caratterizzanti le scale collocate in modo da formare un cerchio, secondo una progressione crescente di diesis (percorrendo il circolo in senso orario) o decrescente di bemolli (percorrendolo in senso antiorario). Il circolo delle quinte viene definito in tale modo poiché percorrendo il cerchio in senso orario la tonica di ciascuna scala si trova a distanza di quinta da quella della scala precedente.

Intervalli

Nel paragrafo precedente abbiamo spiegato cos’è un intervallo e come si può determinare.

Molto spesso però non sentiamo parlare di terza ma magari di terza minore, o di terza Maggiore.

Un intervallo infatti, per essere completo, è definito da due elementi: il primo indica la distanza fra i due suoni (seconda, terza, quarta, ecc…), il secondo indica la sua specifica funzione tonale nel contesto musicale (quale tipo di terza, quarta, ecc…), e può essere determinato mediante un confronto con la scala maggiore formata a partire dalla nota più grave delle due note. Se la nota superiore coincide con una nota della scala, l’intervallo è maggiore (se si tratta di seconde, terze, seste o settime) o giusto (se si tratta di ottave, quinte, quarte o unisoni). Se la nota superiore non coincide con una nota della scala, si devono applicare i seguenti criteri:

  1. la differenza tra un intervallo maggiore e uno minore con lo stesso nome generico è di un semitono;
  2. ampliando di un semitono un intervallo maggiore o giusto diventa aumentato, ampliandolo di due semitoni diventa più che aumentato;
  3. riducendo di un semitono un intervallo minore o giusto, questo diventa diminuito, riducendolo di due semitoni diventa più che diminuito.

Esempio – Determiniamo l’intervallo Do – Fa#: si tratta di una quarta, ma di quale tipo? La nota più grave fra le due è il Do, quindi consideriamo la scala di Do Maggiore. In essa il Fa è naturale, quindi Fa# non appartiene alla scala, allora bisogna applicare uno dei criteri sopra elencati. Il Fa# si trova un semitono sopra rispetto al Fa, quindi l’intervallo si sta ampliando rispetto alla quarta giusta Do – Fa (ricorda: le quarte sono giuste, non maggiori), quindi il criterio da applicare è il secondo. L’intervallo Do – Fa#, in conclusione, è una quarta aumentata.

Osservazione: ci sono intervalli che nel sistema temperato hanno rapporti di frequenza identici, quindi suonati al pianoforte risultano uguali (per esempio la terza minore Do – Mib e la seconda aumentata Do – Re#) ciò che è differente è il loro senso armonico nel contesto musicale. Intervalli di questo tipo vengono detti enarmonici.

Gli intervalli si classificano ancora in:

consonanti (ottava, quinta e quarta giuste, terza e sesta maggiori, e terza e sesta minori) i quali danno all’ascoltatore una sensazione di completezza e riposo, o dissonanti (tutti gli altri) che danno invece un senso di tensione e contrasto, e tendono a risolversi su un intervallo consonante;

diatonici, se le loro note fanno parte di una stessa scala diatonica, o cromatici in caso contrario;

armonici se i suoni sono emessi in contemporanea, melodici se si susseguono nel tempo; semplici, se compresi nell’ambito di un’ottava, composti se la superano (ma sono riconducibili a dei semplici corrispondenti, in quanto definiti dalle stesse note, per cui, ad esempio, una nona corrisponde ad una seconda).

Perché intervalli giusti? – Il rivolto di un intervallo

Abbiamo visto che se le due note di un intervallo appartengono a qualche scala maggiore si può parlare di intervalli maggiori (per le seconde, le terze, le seste e le settime) o di intervalli giusti (per le quarte, le quinte, le ottave e unisoni). Il nome \emph{giusto} non è stato scelto a caso.

In musica per classificare un intervallo spesso è utile sfruttare il suo rivolto. Il rivolto di un intervallo è un intervallo che si ottiene portando la nota inferiore dell’intervallo di partenza all’ottava superiore. Più semplicemente, se si sta classificando un intervallo, si può pensare di scambiare l’ordine delle due note che lo compongono.

Perché è utile classificare gli intervalli sfruttando i rivolti? In generale lo si fa per semplicità. La semplicità può riguardare, a volte, la distanza: se l’intervallo è troppo ampio ci sarebbero troppe note da contare, è più comodo usare il rivolto. Infatti la somma (algebrica) di un intervallo con il suo rivolto, dà sempre 9:

  • l’unisono rivoltato diventa una 8a;
  • la 2arivoltata diventa una 7a;
  • la 3a rivoltata diventa una 6a;
  • la 4a rivoltata diventa una 5a;
  • la 5a rivoltata diventa una 4a;
  • la 6a rivoltata diventa una 3a;
  • la 7a rivoltata diventa una 2a;
  • la 8a rivoltata diventa un unisono.

Con questo semplice metodo si riesce a determinare la distanza del rivolto di un intervallo, quindi il primo nome.

Come determinare la qualità del rivolto, cioè il secondo nome? Vediamolo con alcuni esempi.

Esempio – Rivolto di Mi – Do: il rivolto è Do – Mi, cioè una terza Maggiore. Quindi Mi – Do è una sesta. Nella scala di Mi Maggiore si ha il Do#, non il Do, quindi bisogna applicare uno dei criteri elencati precedentemente. Mi – Do# sarebbe una sesta Maggiore, se il Do è naturale si sta riducendo l’intervallo di un semitono, perciò bisogna applicare il criterio 1. Quindi Mi – Do è una sesta minore, mentre il suo rivolto è una terza Maggiore.

In generale il rivolto di un intervallo minore diventa sempre maggiore, e vale anche il viceversa. Invece il rivolto di un intervallo diminuito diventa aumentato, di un intervallo più che diminuito diventa più che aumentato, e di uno deficiente diventa eccedente (e viceversa).

Invece il rivolto di un intervallo giusto è un altro intervallo giusto, proprio per questo motivo vengono chiamati giusti.

Esempio – Rivolto di Fa – Do: il rivolto è Do – Fa, cioè una quarta giusta. Quindi Fa – Do è una quinta. Nella scala di Fa Maggiore il Do è naturale, perciò il Do appartiene alla scala. Quindi l’intervallo Fa – Do è una quinta giusta, mentre Do – Fa è una quarta giusta.

Note

[1]Le musiche delle diverse culture hanno dato vita a tanti diversi tipi di scale. Per esempio dall’antico procedimento per quinte dei pitagorici si sono sviluppate le principali scale arabe, le scale pentatoniche (di 5 suoni), quelle indo-cinesi o siamesi. Inoltre diversi musicisti del ‘900, prendendo spunto dalle musiche popolari, fecero uso di altre nuove scale, una delle più note è la scala esatonale (in cui l’ottava viene divisa in 6 parti, quindi formata da 6 toni) di Claude Debussy.

[2]Per chiarimenti su ciò si consulti: La scala logaritmica.

[3]I gradi della scala vengono indicati con i numeri romani, gli intervalli con i numeri arabi.

[4]La divisione di un tono in due semitoni si ottiene per mezzo delle alterazioni (o accidenti musicali), si tratta di segni grafici posti davanti alla nota per alterarne l’intonazione. Sono 5:

  • Diesis # : altera la nota di un semitono ascendente;
  • Bemolle b : altera la nota di un semitono discendente;
  • Doppio Diesis DoubleSharp.svg : altera la nota di due semitoni ascendenti;
  • Doppio bemolle bb : altera la nota di due semitoni discendenti;
  • Bequadro \natural : annulla ogni alterazione riportando la nota allo stato naturale.

[5]La alterazioni in chiave (vengono comunemente chiamate anche in questo modo) permettono di riconoscere subito la tonalità di un brano guardandone lo spartito: se, ad esempio, vi è un solo bemolle la tonalità sarà Fa Maggiore o la relativa minore (Re minore). Per ulteriori chiarimenti e per osservare il prospetto delle tonalità potete consultare Teoria musicale di Luigi Rossi (vedi bibliografia).

[6]Per la definizione di terza minore si veda il par. intervalli.

Riferimenti bibliografici

  1. AA. VV., Enciclopedia della musica, Le Garzantine, Garzanti libri, gennaio 1999.
  2. AA. VV., Dizionario Enciclopedico della Musica e dei Musicisti, Torino, Utet.
  3. Luigi Rossi, Teoria musicale, Edizioni Carrara.

Riferimenti audio

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