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Nino Martino

Nino Martino

Street Art. Meglio che niente non è abbastanza. Miss-tick sui muri di Parigi

Sull’insegnamento della matematica: può il problema didattico dell’insegnamento della matematica essere scisso da quello della fisica?

E’ l’autunno dell’anno di grazia 2008, nuvole rotolano per il cielo, c’è pioggia e le foglie non cadono. Le foglie non cadono perché pare ci sia troppa anidride carbonica nell’aria. Un altro sottoprodotto dell’autunno è l’inizio della scuola.

L’inizio della scuola coincide con l’angoscioso interrogarsi dei matematici e fisici su come mai l’insegnamento delle materie scientifiche fa acqua da tutte le parti.

Leggo molti documenti a proposito e anche molti tentativi per l’insegnamento della matematica. Devo dire che ho delle perplessità a parlare così tanto della matematica. Le perplessità nascono dal fatto che sembra, la matematica, una cosa veleggiante nel cielo astratto, una cosa con grande rigore interno, con robusti teoremi, con grandi utilizzi applicativi. Ma gli studenti non seguono. Bisogna fare un po’ di teatro? Bisogna essere dei comici nati? Bisogna scomporre bene le difficoltà vere o presunte che incontrano, o che dovrebbero incontrare secondo noi, gli studenti?

Sembra un problema delle primarie, ma è un problema generale, di tutti gli ordini di scuola.

Pongo qui un dubbio: non è che è l’insegnamento dell’area scientifica, in generale, che non funziona per niente bene? Se si parla solo di matematica si parte, forse, con il piede sbagliato. La matematica non è una cosa fuori dal mondo, una cosa bella perché astratta, priva di legami, rigorosa (finalmente qualche cosa di certo e rigoroso!) al suo interno. La matematica, la fisica, la biologia, le scienze naturali, descrivono il mondo, ci danno strumenti comprensione simbolico astratta che ci permettono di trasformare il mondo, dopo averlo capito un pochettino.

Se la fisica diventa un insieme di formulette e di nozioncine, si fa un pessimo servizio alla fisica, alla comprensione del mondo e alla matematica e l’ignoranza complessiva, come l’entropia, aumenta.

Faccio un esempio: studenti del primo e secondo anno di liceo scientifico PNI, addestrati a suon di due e quattro, a risolvere complicate espressioni algebriche, che sanno tutti i segreti più intimi della fattorizzazione di polinomi, che tengono saldamente in pugno Ruffini, che risolvono con sicumera una equazione di seconda grado, NON sanno impostare la banale equazione di primo grado che viene fuori da una barca galleggiante per la spinta di Archimede. Sanno cos’è la spinta di Archimede, sanno la formula, sanno che il peso è una forza, ma gli resta assolutamente oscuro come risolvere il problema di quanto una certa barca, di certe dimensioni, con un certo peso a bordo, affonda.

Fatta alla lavagna l’equazione, non riescono ancora a capire come fa l’equilibrio a trasformarsi in equazione di primo grado.

Non sto parlando di studenti NON bravi in matematica, sto parlando dello studente medio e anche dello studente bravo in matematica.

Ma siamo proprio sicuri che gli studenti abbiano appreso qualche cosa di matematica?

Non sto sostenendo nemmeno lontanamente che la matematica si capisce con le applicazioni, che deve essere una matematica operativa con tanti esempi di applicazione nella vita pratica ecc.

Sto sostenendo invece che la matematica è un necessario modo di descrizione simbolico astratto della realtà, che senza avere questi strumenti di descrizione simbolico astratti non posso andare molto oltre al conteggio delle pecore del mio gregge e di quelle del mio vicino.

Allora se la matematica è questo strumento necessario, ogni volta che ho bisogno di descrivere nuove cose della realtà mi costruisco lo strumento adatto. Può essere l’algebra, ma poi anche la trigonometria, e poi gli spazi vettoriali, e poi le matrici, e poi le equazioni agli autovalori, e poi le geometrie non euclidee.

Ciascuno di questi campi ha regole interne precise, ha una bellezza teorica intrinseca, che non va svilita semplicemente con applicazioni.

Probabilmente va rivoluzionato l’insegnamento della matematica e delle scienze in generale. Chi fa fisica, chi fa ricerca fisica, non si pone nemmeno il problema, per lui è scontato che deve utilizzare tutto quello che si sa. Chi fa ricerca matematica non si pone il problema, aggiunge teoremi o lemmi, con grande rigore logico interno, oppure scopre nuove frontiere astratte che magari un giorno troveranno qualche tipo di applicazione (Gauss tira fuori una geometria non-euclidea anzitempo e la tiene nel cassetto perché non vuole rovinarsi la carriera accademica…).

Il problema l’abbiamo nell’insegnamento delle scienze. Oppure preferiamo buttare via un sacco di risorse, di sprecare molte intelligenze, di bruciare un bel po’ di studenti (oh, la dispersione scolastica…)

Allora mi va bene cercare tutti i modi per scomporre le difficoltà, per analizzare i nodi concettuali, per mostrare i punti essenziali di certi complessi teorici, ma non è sufficiente, è come se si fosse monchi.

Pongo qui ad esempio, anche, alcuni scritti su esperienze in classe di Mario Miani, che si occupa di matematica, ma che la fa nascere in modo semplice dal mondo delle cose, trova i rapporti e le relazioni che sono dentro il mondo. Vi rimando ai suoi scritti, alle sue relazioni di lavoro in classe (di prossima pubblicazione su “la natura delle cose”). Mario fa matematica ma è come se avesse presente quello che ho detto.

Quello che mi posso augurare, e che auguro a tutti, è che aumentino il numero di scritti di cose fatte in classe, di esperienze vive, di tentativi di legare, finalmente, le materie scientifiche tra di loro. Tempo addietro si discuteva moltissimo della separazione tra cultura umanistica e cultura scientifica. Mi pare che qui si possa incominciare a discutere addirittura della separazione, assai forzata, tra discipline della stessa area scientifica.

Ah, ma voi vi chiederete a questo punto il senso del titolo di questo editoriale. Perché “grande battaglia di retroguardia”?

E’ autunno, le foglie persistono a non cadere, nuvoloni corrono nel cielo di Genova, in questo momento che scrivo. E mentre noi discutiamo di come insegnare la Gelmini imperversa (nel momento in cui ripubblichiamo questo articolo la Gelmini è passata, il governo Berlusconi pure, la crisi attanaglia l’economia e a scuola è sempre più difficile lavorarci, per gli insegnanti e gli studenti. N.d.R.). Maestro unico, risparmio di milioni, diminuzione delle ore nei licei, distruzione dei pochi avamposti rimasti nel campo dell’istruzione pubblica e dell’intelligenza umana. Decreti legge a nastro per evitare critiche o discussioni. Le cose che fa mi indurrebbero a pensare che sia una ignorante, che abbia raccattato per strada un titolo di studio, e che solo per servilismi vari e varie bellezze (?!) sia adesso dove è, al servizio preciso di chi vuole procedere nell’aumentare per i propri scopi personali l’ignoranza di questo paese. Ma è solo un pensiero malizioso, che potrebbe venirmi ma che qui nego recisamente di averlo mai avuto.

E’, appunto, autunno.

(aggiunta redazionale: e dopo l’autunno viene l’inverno. E’ solo dopo un po’ che arriva la primavera…)

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