Intervista di Nino Martino a Claudio Chillemi

Cosa vuol dire scrivere fantascienza. Differenza tra mitologia e fantasy. L’ansia del best seller. La fantascienza deve essere una narrativa di puro intrattenimento e di avventura oppure altro, non curandosi dell’appassionare il lettore? Il problema dell’idea di partenza. Il futuro della fantascienza italiana. Il rapporto fra fantascienza italiana e quella straniera

In fondo all’articolo il video completo della chiacchierata tra Claudio Chillemi e Nino Martino da cui è stato tratto in maniera non fedele il seguente testo.

Prima domanda: cosa vuol dire scrivere fantascienza?

Scrivere fantascienza vuol dire non scrivere fantascienza. Uno scrittore deve essere scrittore di idee non di generi. Hai un idea un concetto un messaggio, prima li scrivi e solo dopo gli accoppi un genere, o un sotto genere, o una CONTAMINATIO di generi.

(N.d.R. qui di seguito un primo spezzone del video dell’intervista, che riguarda “cosa vuol dire scrivere fantascienza”. Il video completo in fondo all’articolo)

Vero. Tu hai scritto, a posteriori, un po’ in tutti generi e sottogeneri di fantascienza. A posteriori appunto. Anch’io non mi pongo il problema del genere. Il genere viene da sé, è il “sapore” di un meccanismo letterario che ti permette di dire bene quello che vuoi dire (corollario: se non hai niente da dire, non dire niente, in tutti i generi immaginabili…)

Tu hai scritto anche recentemente dei romanzi che, a posteriori (!), possono avere l’etichetta dei romanzi storici, con degli spunti fantastici. Come ti è nata l’idea. Il risultato mi sembra sia stato ottimo, emergono mille cose e le mille contraddizioni della Sicilia.

L’idea nasce da un editore che mi chiese un romanzo su Federico II. Lo scrissi e lo pensai come narrativa per la scuola media. Da qui l’idea di aggiungerci una componente fantastica. Ma anche questa è, di fatto, storica, perché legata alla mitologia siciliana, quindi alla tradizione dell’immaginario collettivo dell’isola. Poi, questo romanzo ha subito una serie importante di implementazioni che lo hanno portato ad essere quello che è oggi, un romanzo storico in cui l’elemento fantastico è una sorta di deus ex machina. In sostanza, nel periodo in cui Federico, appena di otto anni, è al centro di una serie di congiure che lo vogliono morto o prigioniero, ho pensato che solo la “magia” e l’imponderabile intervento del fantastico potessero toglierlo dai i guai.

Che differenza c’è, secondo te, tra mitologia e fantasy?

La mitologia nasce dalla tradizione orale, molto spesso è una spiegazione fantastica a un fenomeno reale, naturale. Il Fantasy prende spunto dalla mitologia (ad esempio quella Norrena, per molti scritti anche di Tolkien), e crea un mondo a sé stante dotato di regole proprie, di una propria geografia, antropologicamente delineato, dove il magico non è un’eccezione, ma la regola.

Hai mai scritto un romanzo, diciamo, di cosiddetto mainstream?

Sì, almeno un paio, ma giacciono nel cassetto. Non perché non ho avuto modo di pubblicarli, ma perché, secondo me, sono perfettibili, poi la produzione fantastica e fantascientifica mi hanno distratto, e non ho potuto tornare a lavorarci su.

Eterna querelle: la fantascienza deve essere una narrativa di puro intrattenimento e di avventura oppure altro, non curandosi dell’appassionare il lettore? (→ per me è un falso problema, che spunta spesso sui social, deve essere commerciale oppure no, deve divertire oppure no, Per me uno gli vien voglia di scrivere e allora si mette a scrivere, pensando che chi legge deve appassionarsi, altrimenti…).

La domanda dovrebbe essere: la fantascienza è un prodotto alla stregua di un detersivo o una merendina o è una produzione artistica con una sua dignità. Per me è la seconda, anche se posso capire che a un editore interessi vendere. Trovare il giusto equilibrio tra commercialità e dignità artistica è maledettamente difficile. Mi viene in mente un altro genere: il giallo. Scrivere un giallo in siciliano ambientato in Sicilia era quanto di meno commerciale potesse esserci, eppure, Camilleri, è riuscito, non senza sforzo, a imporre il suo stile, il suo personaggio, ed è riuscito a vendere ai trevigiani il suo Montalbano scritto in siciliano. A volte bisogna rischiare, ma spesso le case editrici vanno sul sicuro, e trasformano una buona idea artistica in un prodotto. E si finisce, così, per trasformare la fantascienza in mero intrattenimento, anziché utilizzarla per una profonda analisi critica della realtà, come hanno fatto i vari Le Guin, Heilein, Dick, Lem, ecc…

Spesso vedo in giro l’ansia del best seller, gente che si mette a chiedere sui social “che cosa devo scrivere, per piacere? Pensate che la trama debba essere così o cosà, Devo scrivere fantasy o fantascienza, o storico, o fantastico?” Mi sembra invece che tu scriva senza porti questi problemi. È solo una mia impressione di lettore?

Ho la grande fortuna di non dover scrivere per vivere e, in secondo piano, non sono malato di protagonismo. Poi, magari, riesco a essere protagonista mio malgrado, perché a volte ciò che scrivo interessa più di quanto pensi. Ma è un caso. Non è che, se vendo 500, 1000 o 1500 copie di un mio libro la mia vita cambia più di tanto…A quel punto scrivo quello che mi piace e basta. Vedo scrittori appena appena conosciuti che si negano perché “per quest’anno ho pubblicato già troppe cose”, neanche fossero Hemingway. Ripeto, questo modo di fare non mi appartiene. Se qualcuno mi chiede una cosa, se io posso la faccio, se mi piace la faccio, se mi stimola la faccio. Alla fine, sono certo, di tutti noi scrittori italiani di genere fantastico, nella storia della letteratura italiana, tra 100 anni non ci sarà neanche un accenno, spero solo di essere “una nota a piè di pagina”.

Il problema dell’idea di partenza. Si dice spesso che che la fantascienza è una letteratura di idee, che alla base ci deve essere un’idea. In genere si fraintende questo, si pensa solo a una trovata (o trovatina) che meccanicamente porta a uno sviluppo di trama. Io credo che alla base, oltre al meccanismo dell’idea, ci dovrebbe essere anche un approfondimento, una critica, e anche uno stile, un modo di scrivere non banalizzante.. Tu che ne pensi?

Concordo. E in parte ti ho già risposto. Oggi, molti romanzi partano da una trovata, una visione, un’immagine, e la dilatano all’inverosimile, senza curarsi del sottotesto o, nei casi anche peggiori, affidandosi a un sottotesto pluri-sfruttato. Alla fine, non si danno spiegazioni, non si approfondisce, perché è “più cool” non farlo, ma, diciamolo, è anche più comodo. Non dare spiegazioni, o darle solo in parte, è stata una genialata per Dick in L’Uomo nell’Alto Castello (infatti, la serie televisiva che le spiegazioni le ha date, è bella fino a un certo punto…). Ma è un caso letterario scritto da un vero “artista di merda”. Oggi, coloro che scrivono 400 pagine e poi non danno spiegazioni, sono semplicemente “scrittori pigri”, che vogliono stupire con “il non dare spiegazioni” …Provate a scrivere un giallo senza dare spiegazioni…

Come vedi il futuro della fantascienza italiana? Ci possono essere secondo me, diversi sviluppi. Non credo che si possa dare un protocollo di sviluppo (sic!). Si vedrà quello che succederà. Tu che ne dici?

Dico che la fantascienza italiana ha due strade innanzi a sé: o smette di chiamarsi “italiana”, e diventa fantascienza come nel resto del mondo; oppure diventa profondamente italiana, e assume le caratteristiche della letteratura italiana, l’attenzione per l’humanitas, per la critica sociale e di costume, per i grandi temi della vita, come hanno fatto Buzzati, Calvino e Primo Levi, che hanno scritto fantascienza e fantastico.

(N.d. R. qui di seguito lo spezzone dell’intervista che riguarda la fantascienza italiana, in fondo all’articolo il video completo dell’intervista)

Che rapporti ci sono tra la fantascienza italiana e quella straniera? Forse qualche cosa, in questa globalizzazione della rete, qualche cosa si sta muovendo, per esempio le tue pubblicazioni su riviste inglesi prestigiose, in collaborazione con Paul De Filippo.

La mia collaborazione con Paul nasce innanzitutto da un’affinità artistica e umana. Questo ci ha permesso di fondere stili e tematiche solo apparentemente appartenenti a mondi differenti. La globalizzazione è una iperbole che vuole nascondere un dato di fatto, per quanto distanti, per quanto appartenenti a realtà con costumi e tradizioni diverse, in fin dei conti siamo tutto esseri umani. È il DNA che ci globalizza veramente. Se tu parli di collaborazione editoriale, posso solo dirti che non è facile farsi pubblicare in USA, anche se ti chiami Paul Di Filippo. I racconti scritti con Paul sono finiti su Fantasy and Science Fiction e su New Myths attraverso canali convenzionali a cui tutti possono accedere, non abbiamo avuto nessuna strada privilegiata. Evidentemente sono piaciuti e li hanno pubblicati. E spero non sia finita qui. Più in generale. Per una rana essere il re dello stagno è molto semplice, ma quando la rana incontra il grande fiume la cosa si fa diversa. Abbiamo buone frecce al nostro arco, e gli italiani possono dire la loro nella fantascienza internazionale, dobbiamo solo essere pronti a navigare tra le rapide.

 

Video completo della chiaccherata fra Claudio Chillemi e Nino Martino sulla fantascienza e dintorni

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