Dina Lentini

(N.d.R. questo saggio, completamente rivisto, ampliato e arricchito delle analisi di tutti i loro romanzi, fa ora parte del saggio di Dina Lentini: “Il romanzo poliziesco contemporaneo tra tensione morale e impegno sociale”, Delos 2019)

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“Il nostro vero obiettivo era formulare un atto d’accusa severo e puntuale al modello svedese di socialdemocrazia. Un progetto, da completare in dieci anni, composto da dieci opere per denunciare un unico crimine, quello perpetrato dai socialdemocratici ai danni dei lavoratori svedesi”.

Così la stessa Maj Sjowall sintetizza il progetto condiviso col marito e il senso dell’impegno in chiave ideologica del progetto stesso.

Le parole di Maj sono dello scorso anno e testimoniano, in un’intervista del settembre 2008, sia la fedeltà allo stile di sempre, essenziale e diretto , sia una consapevolezza assoluta del percorso fatto e completato nei modi e nei tempi prefissati.

Questa lucidità e severità sono certamente tra gli ingredienti del successo dei due coniugi nordici: si tratta di un successo relativamente recente, dovuto alla riscoperta di un modello che risale ormai alla metà fra gli anni ’60 e ’70, ma che i giallisti scandinavi o nordici riconoscono come base ineludibile della propria formazione, punto di riferimento e motivo di sfida rispetto ai maestri.

In effetti non sempre gli autori contemporanei, nemmeno, Mankell, uno dei più letti, riescono a reggere il confronto: aumenta la dimensione cerebrale del racconto, nonché la stessa mole del racconto, il paesaggio si dilata verso dimensioni dall’intreccio internazionale, il tempo si confonde più con il tempo del vissuto che con quello oggettivo della ricerca nel passato. E’ come se il modello originale si fosse slabbrato, concedendosi eccessi che forse sono in grado di compiacere un certo gusto postmoderno. Gli ingredienti della finzione letteraria sono gli stessi, eppure Sjowall e Wahloo riescono a tenere un altro profilo, più alto, fornendo un esempio di rigorosa fenomenologia degli eventi: i dati oggettivi, la ricostruzione dei fatti e la formulazione delle ipotesi sono presentati in un quadro nel quale complessità e semplicità sono coerenti e naturali, sia che riguardino il livello dell’investigazione poliziesca, sia che appartengano al privato, al mondo personale e interiore dei personaggi.

Gli esempi relativi a questa scelta di oggettività, felicemente realizzata sul piano stilistico, sono tanti. Il paesaggio è evidentemente quello urbano e rurale svedese: è presente a livello geografico ed è, semplicemente, paesaggio. Non per questo costituisce uno sfondo incolore, anzi: desolato o lieto, a seconda dei movimenti atmosferici, è quello che è, reale, essenziale e credibile.

“Fuori cadeva la pioggia, tagliente e gelida. Presto sarebbe nevicato”. ((Roseanna))

oppure:

“Il tempo era bello e l’aria limpida; il forte vento portava con sé una precoce frescura autunnale..” (( Un assassino di troppo”))

oppure:

“Una leggera brezza soffiava da sud, la baia ne era protetta e si stendeva lucida come uno specchio. Dove i raggi obliqui del sole pomeridiano non arrivavano, una gelida umidità saliva dal terreno paludoso , e sui giunchi della riva covava una leggera foschia” ((Un assassino di troppo)).

E dopo il ferimento di un poliziotto in uno scontro a fuoco, mentre arrivano i soccorsi che lo salveranno: “Proprio in quel momento il sole penetrò la coltre di foschia, gettando una luce pallida e fredda sulla scena assurda. Ciò accadde la mattina del 18 novembre 1973 nella parte più periferica del distretto di polizia di Malmo, per non dire della stessa Svezia. A poche centinaia di metri, le le lunghe onde lucide si gonfiavano sulla spiaggia di sabbia che, nella foschia, pareva sconfinata. Il mare. Al di là del mare, si stendeva il continente europeo” (( Un assassino di troppo)).

In alcuni casi si arriva alla freddezza della descrizione geografica vera e propria. “Malmö è la terza città della Svezia e si differenzia molto da Stoccolma. Ha meno di un terzo degli abitanti della capitale e si estende su una pianura, mentre Stoccolma è edificata su un sistema di isole collinose. Malmö è anche ubicata seicento chilometri più a sud ed è il porto del paese verso il continente. Il ritmo di vita laggiù è più tranquillo, e l’atmosfera meno aggressiva; si dice che perfino gli agenti di polizia siano più gentili e abbiano maggior senso civico, così come il clima è più mite. Piove spesso ma di rado fa veramente freddo, e molto prima che intorno a Stoccolma il ghiaccio si sia sciolto, le onde dell’Öresund s’infrangono pigramente contro le piatte e assolate spiagge sabbiose e i bassipiani calcarei” ((L’autopompa fantasma)). I lettori di Mankell riconosceranno un tema paesaggistico classico, quello del contrasto fra aree nordiche e il sud del paese (nel caso di Mankel e del suo protagonista Kurt Wallander, il riferimento è Malmo, ma soprattutto Ystad e comunque tutta la Scania): qui il tema è sviluppato con il solito rigore della registrazione caro ai due autori.

Un altro carattere costante, poi ripreso da altri, Mankelll o Larson, è la registrazione minuziosa dei fatti attraverso la scansione temporale e addirittura oraria: “Erano le nove e mezzo di sera del nove giugno 1967, un venerdì. Venti minuti dopo iniziò a piovere”(( L’uomo al balcone)).

Analogamente il protagonista dei romanzi “su un crimine”, il sovrintendente Martin Beck, è un vero poliziotto: come precisa la stessa Sjowall, era, per l’epoca, nella letteratura di area scandinava, una figura innovativa, che usciva davvero dal clichet della finzione ed entrava nella realtà, come professionista e come persona.

Martin è una persona con una morale. Il suo collega ed amico Kollberg è una persona con una morale. Anche questo fa la differenza rispetto ai contemporanei. Sjowall e Walhloo scrivono in tempi ancora lontani dal disincanto, credono nell’analisi e nella critica dell’esistente, hanno valori da trasmettere. Fanno della letteratura una forma di militanza politica, in un momento nel quale la denuncia era sostenuta da conoscenza, generava altra conoscenza e speranza di trasformazione. Questa dimensione politica, dovuta proprio al contesto storico, rende questi romanzi meno amari di quelli odierni: anche quando le cose finiscono male e l’onestà non paga o le miserie umane appaiono troppo pesanti da reggere, l’atmosfera non può essere quella cupa e disperata che troviamo in autori anche schierati a sinistra come Larson.

Martin è un uomo semplice, non particolarmente ambizioso dal punto di vista carrieristico, anzi capace, insieme a Kollberg, di cogliere gli aspetti ridicoli o perversi della scalata al successo, vista come una forma di disperazione o di follia, certamente di alienazione: “Dobbiamo diventare qualcosa, del resto?” ((Roseanna)). Non per questo si sottrae a eventuali responsabilità e l’impegno a seguire un caso è assoluto. La sua razionalità è strettamente legata alla lealtà, con se stesso e con la squadra. Non è un solitario, il suo è un moderno, scientifico, lavoro d’equipe.

Martin ha i suoi guai familiari: il rientro in famiglia significa, da anni, affrontare il “fronte casalingo”. La sua, da questo punto di vista, è una storia banale, simile a mille altre: dopo un anno di matrimonio è già indifferenza, mancanza di stima, routine, insofferenza. La ragazza fresca ed entusiasta dei primi mesi di fidanzamento si è trasformata quasi subito in una casalinga gretta e opprimente , “pigra di natura e soddisfatta del suo ruolo di donna di casa”; ancora peggio, ha trasmesso ai figli , ormai adolescenti, la sua visione ottusa della realtà . “ la cosa strana era che anche i figli erano uguali a lei” (( Roseanna)). L’investigatore, disperato, si interroga sulla possibile trasmissione ereditaria dei tratti della personalità, ma è più che altro una riflessione amara, che solo in parte verrà attenuata, col tempo, dal ritrovato rapporto con almeno uno dei figli.

Attivo, collaborativo e in sintonia con i colleghi, capace di amicizia e lealtà, Martin è, nella vita familiare, un uomo solo, deluso e sfinito. In questa fase della sua vita, la cifra che lo caratterizza è la compassione, accompagnata a un certo distacco necessario alla sopravvivenza. Prova pena per se stesso, ma anche per le tragedie dei colleghi e, più spesso, per il dramma quotidiano, a volte inconsapevole, di donne sole, di anziani senza prospettive, di bambine assassinate perchè per una frazione di secondo si sono trovate nel posto sbagliato, di corpi violati e ridotti a oggetto. Nei confronti di Roseanna Mc Graw, caso difficile e di lunga risoluzione, prova subito interesse e pietà: prima, quando ancora l’identità della donna è sconosciuta, la pietà è per il corpo giovane e violato, ridotto a oggetto di laboratorio e di descrizione per elenco puntato( nella perfetta sintesi che ne fa Kollberg, che permette di ricostruire, senza i moderni supporti tecnologici, solo grazie all’osservazione puntuale, la fisionomia della giovane donna uccisa). La pietà nasce anche dal fatto che nessuno denuncia la scomparsa di Roseanna, nessuno chiede di lei: Martin prova compassione per questa solitudine che sembra assoluta e si concede, lui così sobrio, un pensiero che è anche per se stesso: “Povera, piccola amica, chi sei?” Poi, quando l’identità è svelata, la pietà nasce dalla ricostruzione di uno stile di vita pericoloso per lo spirito di indipendenza, ideologico e ingenuo, della ragazza. Reagisce con la consapevolezza che la risoluzione del crimine è una forma di risarcimento: da ciò, l’energia e l’organizzazione nel lavoro, il rispetto dei tempi e lo stato continuo di allerta dietro la calma. Nella propria dimensione privata è tutto un altro paio di maniche: la reazione di fronte all’aggressività della moglie e alle pretese dei figli è debolissima: il tempo trascorso a casa è ridotto ai minimi termini, vissuto con indolenza e senso di colpa: Martin si trascina e cerca di ammortizzare i danni. Si concede, però, con sensi di colpa sempre più labili, qualche piccola trasgressione, inizialmente anche solo il rifiuto di precipitarsi a casa alla fine della giornata lavorativa o il piacere semplice di passare qualche giorno in compagnia di un amico. In una sera di mezza estate decide di dire una bugia alla moglie e trascorre un sereno week-end con alcuni buoni amici fidati concedendosi di sdraiarsi sull’erba, pescare, innalzare l’albero della cuccagna, chiacchierare divagando e bevendo più del solito. Martin è consapevole di una svolta e qualche anno dopo riuscirà ad emergere, tornando a provare gioia per l’esistenza e sicurezza in un nuovo amore tardivo. Del resto, gli amici di Beck, occasionali o di lunga durata, sono un riferimento e un aiuto, sono figure normali ed eccezionali al tempo stesso, che hanno una dimensione positiva. Åsa Torell “era una donna giovane e sveglia, con diverse qualità e molto curiosa” ((L’autopompa fantasma)): vedova di un poliziotto, decide a sua volta di entrare in polizia, ma lo fa semplicemente, senza retorica, per riprendere una dimensione normale:”Voglio solo un lavoro nuovo. E un altro tipo di vita. Inoltre credo che ce ne sia bisogno”. Kollberg, il più famoso dei collaboratori di Beck, ha ucciso durante un’azione in servizio e da allora non solo non tollera di portare l’arma, ma conduce una lotta tenace contro le soluzioni punitive e giustizialiste ai problemi della criminalità in aumento. Scettico, ipercritico nei confronti del sistema statale e dell’organizzazione delle forze di polizia, disincantato di fronte alla corruzione e all’ignoranza dilaganti al punto da rassegnare le dimissioni, è un amico che rischia la vita per gli altri o in servizio ed è, nel privato, un uomo appassionato, di sentimenti forti, tenacemente legato a moglie e figli. Per Månsson è un collega di MalmÖ: semplice, informale e sicuro del proprio stile di vita, amante di piaceri genuini, intuitivo e intelligente, ben organizzato nella vita privata con un accordo con la moglie che gli permette di essere al tempo stesso scapolo e sposato godendo dei vantaggi di entrambe le condizioni, è uno dei personaggi positivi che Sjowall e Wahloo affiancano al protagonista, favorendone l’evoluzione psicologica in senso più maturo e, soprattutto, mostrando come l’aridità, il degrado e la violenza non coprano, a tutto tondo la realtà. Anche Nöånsson, è un uomo del sud, della Scania: le sue manie, l’attaccamento ad un ambiente paesano che risulta difficile per il cittadino Beck, rivelano una capacità di reagire alla solitudine con ironia e calore umano. Di manie, d’altra parte, è afflitto lo stesso Martin, come tutti, perchè tutti hanno bisogno di piccoli o grandi rituali di sopravvivenza: quelli di Siowall e wahloo non sono semplici gialli con attenzione psicologica o romanzi intimisti: a monte, come già detto, è la scelta di descrivere e denunciare il malessere generale che colpisce persone e famiglie nella società scandinava nel momento storico in cui la socialdemocrazia svedese sembrava un modello positivo da esportare. Beck e Kollberg sperimentano sulla propria pelle l’involuzione del modello svelandone l’illusione. Non è del resto un caso se anche le piccole manie di Martin sono in fondo 2nella norma”: non c’è niente di patologico o di forzatamente originale in lui: è un uomo come tanti, che affronta e organizza l’esistenza e scopre che il malessere si può combattere e che il degrado si può evitare o che, comunque, è solo un aspetto dei tanti possibili della realtà. Quella di Sjowall e Walloo non è una società nevrotica o psicotica: è una società ingiusta, da denunciare.

Risulta così anche spiegato il successo odierno della coppia di autori nordici: soluzioni stilistiche efficaci, capacità di gestire intrecci che legano un crimine all’altro in una spirale che diventa vertigine, ma, soprattutto, impegno, desiderio di realismo, nel senso autentico della parola: descrizione della realtà, disvelamento.

Un approccio del genere contiene, senza retorica, un messaggio di speranza. Resta poi da capire il successo del giallo e del noir nordico contemporaneo: la moda, secondo alcuni, una forma di esotismo rovesciato che porta a battere altre strade rispetto a quelle del tradizionale mondo anglosassone o del più recente, ma ormai consolidato, giallo latino e mediterraneo. In Francia e in Italia il noir del grande nord va alla grande e Patrick Ravnal, autore a sua volta di noir in terra di Francia, così prolifica per il genere, ha tentato una spiegazione del fenomeno, riportando varie motivazioni ricavate da interviste a giallisti nordici. Alcune spiegazioni sono, forse volutamente, leggere, come quella, appunto, del fenomeno di moda: naturalmente è anche questa una valutazione con una sua credibilità, viste le fluttuazioni e gli interessi del mercato editoriale pronto ad agganciare il filone giusto del momento. Più in profondità, la passione per il giallo in generale e per quello nordico sembra da riportare ad un’esigenza di comprensione della realtà che la finzione letteraria tradizionale fatica a soddisfare: tematiche di tipo intimistico paiono ancorate ad un momento storico di rinuncia nei confronti del sociale, laddove il giallo, centrando sul crimine e sull’indagine che lo ricostruisce e lo spiega, ha la capacità di spezzare la struttura quotidiana e la noia che si accompagna alla routine favorendo la comprensione di persone e cose che, nell’eccezionalità dell’evento, si rivelano mostrando ciò che, altrimenti, sarebbe rimasto sommerso nell’anonimato e nella normalità. Il giallo permette, quindi, una forma di conoscenza in generale e, insieme a questa, una critica di carattere morale e sociale: soddisfa, soprattutto oggi, un desidero di aggrapparsi alla realtà, svuotata di oggettività, effimera e virtuale, inconsistente e per questo drammaticamente resistente al cambiamento e alla speranza di cambiamento. Non a caso nelle interviste di RavnaI alcuni sottolineano la maggiore “verità” dei gialli nordici, la maggiore capacità di rappresentazione della realtà. In tempi nei quali la critica fornita dalle ideologie non è più gestibile e il ripiegamento in uno spazio isolato è del tutto insoddisfacente, la moda del giallo-noir sembra rispecchiare un bisogno di concretezza e di verità. Naturalmente il successo è anche legato alla caduta del confine tra letteratura tout court e letteratura di genere: l’espressione è ancora usata, ma più che altro per comodità esplicativa, in quanto gli autori contemporanei sono particolarmente bravi e, fra questi, i nordici sembrano dotati di una vena molto felice nel raccontare storie. Forse in questo senso ha ragione Arnaldur Indridason, l’islandese che dichiara, senza farsi troppi problemi: “Abbiamo successo probabilmente perchè siamo i migliori”. Fra l’altro, proprio Indridason ha sviluppato, a mio parere meglio di altri, quelle che erano le doti dei maestri Sjowall e Wahloo: essenzialità dello stile, nessuna sbavatura, nessuna concessione ad esagerazioni care al giallo mediterraneo e una capacità di costruire, come lo svedese Larsson, una spirale del crimine che si avvita su stratificazioni di altri crimini o eventi passati. Con tutto ciò, il tocco felice della magica coppia resta ancora da raggiungere.

critica gialla

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