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Nino Martino

Nino Martino

un bell’esempio di street art applicata a una scuola. Perché le scuole dovrebbero assomigliare invece a un carcere? Ovviamente il problema estetico non risolve il problema interno, ma accettarlo può essere un timido inizio…

Un corso di formazione a Sassari- Elasticità 1. Si pongono le basi del metodo di lavoro lavorando collettivamente, riproducendo come si dovrebbe lavorare nella classe reale con gli studenti, su un tema di lavoro concreto: studio del fenomeno dell’elasticità.

Giochiamo un po’. Se vogliamo raggiungere i traguardi sulle competenze che sono nelle indicazioni nazionali e se prendiamo per buono il profilo dello studente nelle stesse, quali sono i traguardi delle competenze per noi, alla fine di questo mini corso di formazione?

Probabilmente dovrebbero essere simili a quelle dello studente, viste però dalla nostra parte.

Provo a buttare lì: la capacità di stimolare interesse nei giovani, essere in grado di fare un lavoro cooperativo con gli studenti e liberare la loro fantasia dalla paura di dire cose sbagliate, saper utilizzare tecniche di coinvolgimento, affrontare argomenti nuovi o domande inaspettate e saper inventare insieme agli studenti possibili verifiche o ricerche, scegliere argomenti fondanti della propria disciplina e in grado di suscitare interesse. E così via. Potete aggiungere voi quello che vi viene in mente a proposito.

Detto questo, come impostare il nostro lavoro in modo da raggiungere questi traguardi (i nostri traguardi)?

La scelta di spiegare teoricamente come si fa, con lezioni anche belle e interessanti e/o mostrare una serie di slides, è perdente in partenza.

Si acquisisce in questo modo tutto teorico, in genere, fatte salve le solite eccezioni, la conoscenza che qualcuno dice che è possibile fare così e ottenere buoni risultati.

Il giorno dopo siete in classe a vedervela da soli: come si farà a seguire quelle belle cose dette nel corso?

Da qui la scelta fatta di usare una metodologia assai simile a quella che si usa con gli studenti e all’interno del nostro lavoro, in diversi punti, sceglieremo anche gli argomenti da inserire nel curricolo (possibilmente argomenti che si prestino a essere trattati in verticale a diversi livelli di approfondimento, come vedremo).

Una di voi, a un certo punto del corso, a questo proposito ha detto che bisogna avere in mente gli argomenti da proporre alla classe. Certo, ci mancherebbe altro, bisogna sapere cosa proporre e scegliere argomenti che siano importanti dal nostro punto di vista perché corrispondono alla nostra idea di che cosa è essenziale per avere una idea delle scienze.

Le ho dato completamente ragione, ma adesso ripensandoci c’è una piccola correzione da fare. Anche qui bisogna essere un po’ flessibili.

Supponete per esempio che dopo un certo argomento, per esempio l’elasticità, ai vostri ragazzi venga in mente di capire perché le piante sono generalmente elastiche e non rigide e dure e come fanno ad essere elastiche. Cosa fate? Dite: guardate che il prossimo argomento del programma che ho presentato al collegio non prevede la botanica ma la zoologia?

La scelta degli argomenti che faremo insieme nella costruzione del curricolo non può essere a sua volta estremamente rigida (tenete presente i traguardi delle competenze: sarebbe una contraddizione), ma avere un certo grado di elasticità.

A scanso di equivoci non sto dicendo che si debba andare a ruota libera. Anche andare a ruota libera è una contraddizione rispetto alla metodologia che proponiamo e rispetto ai famosi traguardi delle indicazioni nazionali.

Ma veniamo a quello che abbiamo fatto. Poiché non avevo portato niente con me e non avevo previsto un argomento particolare (errore…), ci siamo guardati intorno per scegliere un qualsiasi fenomeno nel campo delle scienze da poter studiare e vedere insieme come si fa a studiarlo.

Mi è venuto in mente la elasticità, perché in genere si trova sempre qualche materiale di questo tipo e poi perché in effetti è un argomento più importante e più comune di quello che si pensi.

Ho detto: se avessi una riga di plastica…

Ovviamente c’era subito una di voi che ha tirato fuori dalla borsetta una riga e una squadretta di plastica (si vede come sono fatti gli “scientifici”: in genere si portano dietro riga e squadra, a contrario dei letterati che si portano sempre dietro il Kindle con 1100 volumi della biblioteca personale).

Va bene, sembra che piegare una riga corrisponda al concetto primitivo che abbiamo di elasticità. Ma come facciamo a studiare il fenomeno della elasticità?

Che cosa dobbiamo indagare per definire l’elasticità di un corpo?

Diverse ipotesi sono state fatte da voi.

Andare a vedere quando si rompe, fino a che punto si può piegare prima della rottura.

Applicare una forza e vedere quanto si piega.

Cambiare il punto di applicazione della forza.

Vedere come oscilla quando la si lascia andare e contare il numero di oscillazioni.

 E’ il primo giro di ipotesi. Ma incominciamo a fare qualche considerazione di metodo. La prima cosa è l’accettare tutte le ipotesi di lavoro. Non c’è una ipotesi giusta e una sbagliata. Le ipotesi sono ipotesi. Ma alcune ipotesi corrispondono alla realtà e possono produrre effetti futuri interessanti, altre invece non corrispondono alla realtà delle cose che ci circonda e il sostenerle porta a viocli ciechi. Ma allora come si fa a verificarle? Bisogna vedere nella pratica sperimentale che cosa succede. Oppure, nel caso iniziale nostro, vedere se sono dei buoni modi di studiare l’elasticità, o quello che pensiamo sia l’elasticità.

E’ proprio qui il problema: normalmente in classe non ci si comporta così. Si hanno delle idee precise in testa, si hanno delle teorie e le si racconta agli studenti. Si hanno anche in testa degli esperimenti precisi da far fare agli studenti (in genere quegli esperimenti che … confermano le teorie che abbiamo in testa). A volte si hanno anche delle schede pre-costituite di laboratorio e gli studenti trovano l’apparato sperimentale già pronto: devono fare solo misure e riportarle nelle caselle già predisposte e così via.

I bambini fanno ancora domande, un bambino è alla scoperta del mondo e pensa che gli adulti ne sappiano qualche cosa e quindi chiedono. Ma, mano a mano che si procede nell’età scolastica e/o nell’età anagrafica, utilizzando il metodo normale, non si fanno più domande.

Poiché il sapere è già precostituito, definito, chiuso e allora fare domande o ipotesi è controproducente: stiamo dicendo la cosa giusta o diciamo una cosa sbagliata e avremo la riprovazione generale di tutti coloro che “sanno”?

E’ un inganno, una illusione ottica. Soprattutto oggi il sapere non è chiuso, non è definito una volta per tutte, è in continuo movimento, cambiamento, approfondimento. Solo che ci sono regole precise di costruzione del sapere collettivo. Non si può affermare la qualunque. Quello che si afferma, le ipotesi che si fanno, devono avere una qualche corrispondenza, magari provvisoria, con la realtà. E vanno poi verificate nella loro corrispondenza con la realtà. E bisogna costruirsi degli apparati, delle strutture, se non è semplice verificare ciò che diciamo.

Esaminiamo da vicino le varie ipotesi che abbiamo fatto più sopra:

Andare a vedere il punto di rottura di una riga non è una mala idea: vedere se c’è un limite all’elasticità. Un corpo elastico si piega senza rompersi e vuole tornare al suo punto di partenza. Ma fino a che punto posso piegarlo? Più un corpo è elastico più si riesce a piegarlo senza romperlo. Una struttura più rigida, per esempio la mina di una matita, non si riesce a piegare molto: si rompe quasi subito. La grafite non sembra molto elastica. Tra l’altro credo che tutti coloro che hanno figli sanno che la prima cosa che indaga un bambino è proprio il punto di rottura. C’è un certo piacere a rompere le righe. Ma problemi di natura economica in genere spingono i genitori ad interrompere brutalmente questo tipo di esperienze.

 Notate anche un mio errore, nel nostro incontro. Quando è stato proposto il punto di rottura come studio dell’elasticità, io , che avevo in mente cose precise sull’elasticità, ho scartato subito quell’ipotesi di lavoro. Per me, in quel momento, non portava a niente. E questa è proprio la cosa da evitare. Avrei dovuto invece accettare quella ipotesi di lavoro e far vedere nella pratica che è riduttiva, esamina solo un aspetto del fenomeno, che non porta a una definizione di una caratteristica univoca che identifichi il grado di elasticità di un corpo (ma è tutto da discutere, nello sviluppo della teoria si è preferita un’altra strada perché portava a conseguenze più fruttuose…).

 Applicare una forza e vedere quanto si piega. Interessante, rimarrà poi da capire questo: un corpo più elastico si piega di più o di meno? Sarà questa la ipotesi di lavoro con la quale abbiamo deciso di proseguire, ma in effetti si potrebbe seguire altre strade e vedere se si arrivano a conclusioni compatibili tra di loro. Anche questo sarebbe interessante.

Cambiare il punto di applicazione della forza. Anche questo è interessante ma ci è sembrato che faccia parte della ipotesi precedente. Ma non è banale come potrebbe sembrare. Lo faremo: data una certa riga, se cambio il punto di applicazione della forza il comportamento elastico del corpo è identico o ci sono delle variazioni nella sua elasticità? Vedremo, e il risultato sarà più interessante del previsto.

 Piegare la riga e poi lasciarla oscillare e contare il numero delle oscillazioni. Anche qua la cosa si fa interessante (almeno per me…). Credo che sia stata interpretata male o sia stata espressa male come ipotesi di lavoro. A prima vista sembrerebbe che contare il numero di oscillazioni fatte prima di fermarsi non dipenda dalla elasticità del corpo ma piuttosto dai vari attriti che smorzano le oscillazioni. Qualcuno ha proposto di fare l’esperimento delle oscillazioni in acqua, anzi di vedere se il corpo si piega nello stesso modo sia in aria che in acqua.

Questo è veramente interessante. Osservate il filo logico che c’è dietro. Sappiamo già, senza fare l’esperimento, ma lo faremo per coerenza, che il numero di oscillazioni è inferiore in acqua, molto inferiore.

Questo cosa vuol dire? L’elasticità di un corpo dipende dal mezzo in cui si trova? Se è così c’è un proliferare di elasticità del corpo. Ogni volta che cambio il mezzo in cui si trova sono punto e daccapo, devo rifare tutto.

Ma se faccio l’esperimento di immergere la riga completamente in acqua e applicare la stessa forza che in aria, la flessione della riga è la stessa oppure no? Se è non è la stessa l’elasticità dipende dal mezzo, se è la stessa allora l’elasticità non dipende dal mezzo e conviene aggiungere qualche cosa tipica del mezzo per spiegare il numero di oscillazioni inferiore.

 Impariamo qui in concreto a fare ipotesi, addirittura fare ipotesi di lavoro, vederne le conseguenze, inventare modi per capire quale sia meglio rispetto all’indagine del mondo e così via. Direi che corrisponde perfettamente ai celebri traguardi. Sarebbe difficile fare in modo che i ragazzi e i bambini lavorino così, se noi non siamo in grado di farlo…

 A questo punto incomincia il … vero lavoro (forse). Abbiamo preso l’ipotesi di lavoro di andare a vedere come si flette la riga applicando una forza.

Ma per capirci qualche cosa dobbiamo stabilire le “variabili” e cercare se c’è una qualche relazione tra quali variabili. Questo passaggio è il più difficile, per tutti, a qualunque livello…

Ne scriviamo un po’ alla lavagna. Forza applicata, quanto si flette, lunghezza della riga, punto di applicazione della forza sulla riga (ovvero distanza del punto di applicazione della forza dal punto fissato della riga con una morsa o un peso), materiale della riga, forma del materiale, spessore del materiale.

Appare subito che c’è una relazione tra tute queste cose che abbiamo chiamato variabili. A parità di forza e punto di applicazione, il corpo si flette di meno o di più a seconda del tipo di materiale. Ogni corpo si comporta in maniera diversa. Come si fa a mettere ordine in questo guazzabuglio?

La realtà appare, è chiaro, complessa, di difficile interpretazione.

Forse conviene scegliere due variabili e tenere in qualche modo costanti tutte le altre. Allora potremo cercare la relazione (se c’è) fra queste due variabili (di cui appare che una debba essere necessariamente la forza applicata, senza una forza applicata non succede nulla quindi non sembra significativo cambiare tutte le altre variabili che abbiamo scritto senza la forza: cambiamo materiale e spessore e contempliamo?

Quindi la forza è una variabile. Dobbiamo a questo punto impiantare tanti esperimenti quante sono le coppie di variabili che vogliamo studiare.

E’ molto interessante qui notare che la questione dell’elasticità si presta ad essere trattata a diversi livelli. Quello che segue a questo proposito me lo avete fatto notare voi.

Nella scuola d’infanzia i bambini giocano con i vari materiali, con righe, bacchette di legno, appendono pesi diversi, guardano che succede a lasciare andare l’estremità della bacchetta piegata e così via. Incominciano a vedere che c’è una qualche relazione fra gli oggetti del mondo, cominciano a vedere che se io modifico qualche cosa qualche altra cosa nel mondo si modifica. Imparano che ci sono relazioni fra gli oggetti del mondo (cosa peraltro che forse già sospettavano, io per esempio scappavo sempre quando mia madre impugnava il battipanni…). Possono essere lasciati liberi con la fantasia per proporre nuovi oggetti e nuovi materiali (anche andare in giardino e vedere che anche i rami degli alberi (attenzione al possibile sterminio…) che presentano lo stesso fenomeno dell’elasticità. Per esempio possono indagare dove si presenta lo stesso fenomeno nel mondo che li circonda. Ma questo lo dovete dire voi nei prossimi lavori che faremo insieme.

Alle primarie si approfondisce a livello diverso, si possono costruire anche oggetti e inventarsi un modo per misurare, fare delle tabelle (magari inventandosi che cosa mettere nelle tabelle). Capire che ci può essere una relazione quantitativa che lega le cose. Inventarsi modi per misurare.

Alla scuola secondaria di primo grado le misure vengono poi messe in modo da far vedere che la relazione che c’è tra, per es., forza applicata e spostamento-flessione della riga o bacchetta si può mettere sotto forma di equazione, molto semplice. E prima o dopo si può far vedere che si può costruire un grafico, che l’equazione trovata corrisponde a una certa forma del grafico (non vi dico quale perché ci dobbiamo ancora lavorare sopra).

Ma tutte queste differenziazioni le dovrete dire voi, con me, perché siete voi quelle che sanno le reali condizioni delle classi alle diverse età. E questo faremo.

Allora: dato il tema della “relazione”, abbiamo scelto un primo argomento fra i vari possibili che danno luogo a una relazione (infiniti!). E questo argomento lo possiamo trattare ai diversi livelli, ma con la stessa metodologia (faccio qui notare che si può trattare anche al livello di liceo scientifico con un diverso livello di approfondimento… e infatti lo si fa).

Siamo arrivati al punto della necessità delle misure. A un certo livello, probabilmente fin dalle primarie, bisogna introdurre il concetto di misura. Per dire quanto la variazione di una cosa fa variare un’altra cosa a cui è legata da una relazione bisogna fare necessariamente una operazione di misura. E qui sono stati proposti diversi metodi per misurare la flessione della riga o del corpo che studieremo, mettere di profilo al muro, andare a vedere l’altezza rispetto al suolo, utilizzare uno schermo di carta e così via. Vedremo in pratica come è meglio fare, oppure seguiremo diversi metodi e li confronteremo. Il concetto di misura, anche se espresso in forma primitiva a certi livelli, è importante nelle scienze (ma non solo nelle scienze…)

Una premessa

L’elasticità nel mondo per parlare d’altro

credenze comuni, misure di elasticità, disinganni, apparenze e altre cose ancora

Sulla costruzione di un curricolo verticale

La ricaduta nelle classi: l’elasticità con i ragazzi

La ricaduta nelle classi: giochi con famiglie di molecole d’acqua allo stato solido, liquido e gassoso

La ricaduta nelle classi: Le stupefacenti trasformazioni di una molecola d’acqua

Sulla luce prima parte

Sulla luce seconda partes

jazz- dipinto di Matisse

In memoria del professore Franco Mura, dal cuore rosso, promotore e organizzatore di questo corso. Oh, amico mio, quante cose avremmo potuto fare ancora, insieme.

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