Dina Lentini

Marsiglia, sempre. Il noir mediterraneo di Jean-Claude Izzo: fra disincanto, deriva esistenziale, prove di resistenza

(N.d.R. questo saggio è attualmente “obsoleto”, completamente rivisto, ampliato e arricchito di analisi su tutti i romanzi, fa ora parte del saggio di Dina Lentini: “Il romanzo poliziesco contemporaneo tra tensione morale e impegno sociale”. delos 2019)

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Se la costruzione della scena investigativa e dell’iter innescato dall’evento criminale nasce sempre da desiderio di conoscenza, nel noir di Jean Claude Izzo questo desiderio si fa slancio, passione e persino grido, ora disperato ora smorzato dalla riflessione, ma sempre spinto da una  tensione incontenibile che rivendica tutto il bisogno della ricerca e del dolore a questa inevitabilmente  connesso.

Marsiglia e, in modo più ampio, il Mediterraneo diventano luogo non concluso da cui contemplare il mondo e, di nuovo, in modo più ampio, la vita. Vicinissimo al giallo noir tradizionale francese e al giallo spagnolo, il noir di J.C.Izzo pare anche anomalo e diverso: come se qualcosa lo allontanasse dai suoi compagni di area geografica e culturale, con i quali peraltro mantiene una forte sintonia, spingendolo per vie e distanze infinite.

L’eroe di Izzo è lo sbirro Fabio Montale, un uomo segnato, che va incontro al suo destino tragico bevendo, giorno dopo giorno, assaporandolo quasi, l’amaro gusto delle piccole o grandi perdite, delle omissioni, delle cadute, delle cose non fatte che avrebbero potuto cambiare l’esistenza. A un certo punto della vita i legami familiari e sociali, tutto il contesto che plasma la persona e la indirizza, tutto viene a cadere perchè mandato in pezzi dalla riflessione, dalla cultura, dall’assunzione di responsabilità individuale: è così che Montale, da potenziale giovane criminale, compie il grande salto e diventa poliziotto. Con ciò, l’inquietudine, il malessere esistenziale e, soprattutto, le radici tracciate da luoghi ed eventi che sfuggono al singolo non vengono meno.

Diciamo che Montale sublima certe sue qualità indirizzandole a vantaggio del suo lavoro investigativo e, più in generale, della sua sfera relazionale, crescendo in termini di umanità e di sentimento. La consapevolezza dell’appartenenza ad un meticciato mediterraneo o addirittura globale lo spinge verso la condivisione, più che verso la chiusura egoistica; il gusto letterario e musicale diventano, in modo autodidatta ma al tempo stesso rigoroso, strumenti di un’ermeneutica dell’esistenza che forniscono tracce e una certa consolazione. Individualista, schivo, bastante a sé stesso, eppure pronto anche al sacrificio estremo per l’altro, Fabio Montale conduce una vita sospesa fra scacco e tentativi di resistenza. La realtà degradata delle periferie, la stessa degenerazione senza regole e senza confini  del modello criminale interiorizzato dalla società legale e ad essa funzionale, non lasciano grandi speranze e chi si muove in controtendenza, se non in opposizione, cade rapidamente nella vertigine dell’espropriazione dei propri pensieri, del proprio ruolo, nella sensazione, mai abbastanza paranoica, del sentirsi usato e abusato, gestito da altro e da altri. In queste condizioni, restano ben poche cose per sopravvivere a livello fisico e umano. Le amicizie si frantumano, i vincoli più semplici e naturali cadono sotto l’ombra ambigua del sospetto e persino la donna amata è un fantasma, una sorta di revenant il cui abbraccio ha già il sapore dell’indifferenza e dell’abbandono, un’idea, più che una persona, un sogno destinato a svaporare, che non si può pretendere di trattenere. Eroe tragico alla Camus (di cui Izzo era del resto un estimatore appassionato), ma anche eroe postmoderno, Montale oscilla tra l’amara analisi dell’esistente e il recupero della speranza. Come il suo autore, la denuncia dei nuovi poteri e disegni disumani nascosti nelle pieghe della “civiltà” nordica e globalizzata, lo porta alla sintonia con i derelitti del mondo e alla reazione, al gusto ritrovato dell’impegno in nome di briciole di umanità e di significato. Il senso della vita è nelle piccole grandi cose, nella pietà, nella costruzione di affetti, nella rivendicazione di sé stessi e del proprio anomalo e irregolare stile di vita, nella capacità di godere della contemplazione, della dilatazione del proprio tempo, ma anche del piacere di un semplice piatto casalingo che nei  sapori e nei  profumi non solo crea appartenenza, ma evoca e ricostruisce un  mondo buono che non può del tutto essere cancellato.

Del resto, l’interesse per la cucina sembra essere diventata una costante dello stile di vita di molti personaggi del giallo contemporaneo: da Montalban a Camilleri, il detectiv dei nostri tempi mangia quel che può nei ritagli di orari di lavoro infame, ma appena può si concede, anche in solitudine, il tempo e il piacere di una preparazione raffinata e sapiente di cibi capaci di resuscitare anche l’anima più afflitta. Nella generalizzazione di questo modello gioca sicuramente l’evoluzione della cultura contemporanea, ormai non solo capace di analisi sulla simbologia del cibo e sulle sue varianti sociali e patologiche, ma consapevole del valore culturale del cibo stesso. Eppure anche in questo Izzo/Montale è originale: è ovvio e persino banale affermare che la cucina e le regole e i luoghi  dell’alimentazione esprimano il modo di vivere di una comunità e i suoi miti; così come è largamente interiorizzata nell’immaginario collettivo la figura dell’intellettuale, capace, proprio per il suo livello di apertura mentale, di accedere ai segreti e alle tecniche culinarie trattandole come una forma, godibile, di ricerca o come una delle tante tecniche private di sopravvivenza personale.

In Izzo la cucina marsigliese non è semplicemente questo, un hobby o un’espressione della città: gli aromi di aglio, menta e basilico sono espressione di vita, di senso, di appartenenza ad un’alternativa. Per questo (non solo, ovviamente) il noir di Izzo si allontana dalla disperazione della tradizione gialla francese: la denuncia cruda ma senza speranza di altri autori cede qui il passo ad una assunzione di forza, alla rivendicazione del desiderio e della dignità del sentirsi emigranti, poveri, disperati, ma simili, capaci di riconoscersi, di provare sensazioni semplici eppure vitali, capaci di condividere. Nelle sue riflessioni esposte in racconti o frammenti, Izzo contrappone il Mediterraneo nero al  Mediterraneo azzurro, proponendo, nonostante tutto, quel mondo fatto di radici, di mito, di  ideale che nessuna economia globalizzata, nessuna forma artificiosa di civilizzazione e di espropriazione potrà cancellare del tutto.
Izzo, comunque, come altri autori e come lo stesso Camilleri, altro uomo mediterraneo per eccellenza, non ha scritto solo gialli. La trilogia noir “Casino totale”, “Chourmo”, “Solea” contiene sicuramente tutti i temi cari all’autore, esaltati dallo specifico della lotta contro la malavita e da un personaggio affascinante come Fabio montale. Ma occorre leggere anche i racconti e le riflessioni in forma di frammento di questo intellettuale, morto prematuramente.

E’ soprattutto nei romanzi, “Il sole dei morenti”, “Marinai perduti” che si ritrova l’Izzo più autentico: qui le storie di personaggi indimenticabili hanno davvero il sapore di un giallo esistenziale e l’analisi della scena criminale diventa indagine sull’individuo, con la sua sensibilità unica e irripetibile e, in ultima, con il suo destino: la vita del singolo, dominata da forze più grandi di lui è sospesa fra possibilità che vengono giocate o sprecate e ciò che resta a dare senso alla vita è il segno che la persona lascia presso chi gli si è avvicinato, condividendone la marginalità e il dolore, senza rifiuto, senza scandalo,  riuscendo a provare indignazione e pietà.

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