Dina Lentini

Nel suo romanzo “Di seta e di sangue”, Qiu Xialong costruisce una storia che si evolve nella continua riflessione sul contrasto fra passato e presente. Il filo conduttore di questa indagine dell’ispettore capo Chen è la linea del tempo

(N.d.R. questo saggio è attualmente “obsoleto”,. Completamente rivisto, ampliato e arricchito di analisi sugli ultimi romanzi di Xiaolong, anche di alcuni inediti, fa ora parte del saggio di Dina Lentini: “Il romanzo poliziesco contemporaneo tra tensione morale e impegno sociale”, Delos, gennaio 2019)

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Il filo conduttore di questa indagine dell’ispettore capo Chen nota al lettore italiano è la linea del tempo. Nel suo romanzo “Di seta e di sangue”, Marsilio 2011, Qiu Xialong costruisce una storia che si evolve nella continua riflessione sul contrasto fra passato e presente: il tempo personale, quello del singolo, si intreccia con quello, più dilatato, del tempo storico che ingloba e determina i destini individuali.

L’autore, che aveva già anticipato questa tematica nei precedenti romanzi, sviluppa qui al meglio la sua ricerca sulla dimensione umana: questa appare segnata irreversibilmente dagli eventi che hann o modificato la politica e la società del paese di appartenenza, eppure è anche chiamata, per sua natura, a emergere con la capacità di giudizio e di scelta. Nella finzione letteraria del giallo, il protagonista, l’ispettore capo Chen, è ormai al vertice della sua carriera in una Shanghai degli anni novanta lanciata verso un processo inarrestabile di modernizzazione. E’ un uomo ancora giovane, di larga esperienza umana e professionale, che gode di stima e notorietà, ma che non riesce ancora a risolvere le sue problematiche interiori.

Chen si trova in una fase di stallo pericolosa per il suo equilibrio perché l’autoanalisi e il continuo tentativo di tracciare un bilancio della propria vita non sbloccano, anzi aumentano, il senso di solitudine e di sconfitta. Alla fine, do

po aver attraversato tante vicende, restano ben poche cose: l’amicizia per un vecchio compagno di scuola, la stima per un collaboratore, il detective Yu, il legame con la madre, qualche immagine femminile che evapora tra il desiderio e il timore dell’impegno e dell’infelicità che potrebbe nascere da un rapporto più coinvolgente. E’ come se le emozioni debbano continuamente essere controllate dalla riflessione realistica che le cose sono ormai andate in un certo modo per una serie di congiunture che si sono verificate e che non possono essere modificate.

foto di Yves-Marie Hue, un sipario si schiude nelle sue infinite pieghe, cosa scoprirà?

A Chen, che può beneficiare dei vantaggi che derivano dalla sua posizione in polizia e nel partito, resta la sensazione di una serie di ambiguità, di occasioni sprecate: meglio concentrarsi sul lavoro e sulla passione letteraria, intraprendendo nuovi studi e cercando una strada di maggiore soddisfazione spirituale. Il suo tempo, però, sembra bloccato tra un presente confuso e un passato, quello della vecchia Shanghai, quello dell’educazione paterna, della dolcezza familiare, ormai irrecuperabile.

Il passato, del resto, lascia le sue tracce e, se non può più essere risuscitato, può essere studiato nei suoi effetti gettando luce sull’evoluzione di un uomo e sulle sue azioni.

Già nel prologo, che presenta la scoperta del primo delitto, il vero protagonista è il tempo: il confronto fra presente e passato emerge, con la sua valenza negativa di distruzione di valori, nella figura simbolica del maestro-operaio Huang, uomo che ha perso tutto nella transizione tra la rivoluzione culturale e la politica post-maoista degli anni novanta, uomo che non riconosce più se stesso e il suo ruolo, i vecchi punti di riferimento, il paesaggio urbano.

Anche Chen è disorientato, ma, troppo sofisticato per indulgere al sentimento della delusione, si apre alla ricerca di un segno, di una guida, cerca conforto nella parola di un maestro, laico o religioso che sia. Non sempre gli antichi testi aiutano, l’ambiguità della parola esige decodificazioni e vaglio continuo delle interpretazioni, rinviando all’infinito. Le vecchie filosofie attraggono più per l’esempio di purezza intellettuale di chi le ha praticate che in se stesse. Le strade si confondono.

Un vecchio artista a suo tempo caduto in disgrazia e che ha saputo sopravvivere, un’anziana finita in miseria e disprezzata ma rimasta fedele a se stessa, un monaco che non pretende proseliti, sono tutti compagni di viaggio che possono insegnare qualcosa.

Figlio di uno studioso confuciano, Chen è un intellettuale aperto alla possibilità di conciliare percorsi diversi: la tradizione letteraria cinese e le novità culturali europee, la psicoanalisi e la critica post-moderna. Il buddismo e la psicoanalisi sembrano utili, più che per l’apparato teorico per lo stimolo al rigore logico, per il modello dei fenomeni come struttura dotata di senso, come andamento non casuale, per la capacità di smascherare le apparenze e le contraddizioni. In questo senso la cultura di Chen non è solo un’utile attrezzatura per il protagonista completo di requisiti e doti di carattere generale: Chen mutua dalla letteratura un metodo e lo applica nel contesto dei casi che affronta trasferendo l’approccio psicologico ed ermeneutico nell’indagine poliziesca.

Lo studio, sembra dire Qiu Xialong, non è mai attività astratta e separata dalla vita: è finzione, metafora che si alimenta dei complessi fenomeni reali e su quegli stessi fenomeni, in contesti simili o diversi, finisce per avere delle ricadute inevitabili.

Così la ricerca sul passato delle vittime e dell’ipotetico assassino si allarga ad analisi storica, sociale, estetica. La scoperta della contraddizione, nella storia romantica tradizionale cinese, fra il tema sentimentale e il finale della storia che ne rovescia il senso, permette a Chen di riconoscere un’altra contraddizione nel rituale dell’assassino.

Pian piano, con tempi che non possono essere misurati, che non coincidono con quelli standard della polizia, Chen rintraccia le tappe di un percorso psicologico, arriva alla conferma della sua ipotesi e può tendere la sua trappola finale.

La scoperta della verità è il risultato di una lenta ricostruzione di un’epoca, quella della rivoluzione culturale e dei suoi miti: Qiu Xialong conferma, anche e soprattutto in questo romanzo, la sua denuncia nei confronti della rigidità dell’ideologia e della disumanizzazione della politica.

L’atto criminale non è la conseguenza diretta, ma è uno dei possibili esiti di un sistema imploso.

Dalla denuncia degli orrori del passato, Qiu passa alla denuncia della società contemporanea, svuotata di ideali, incline al materialismo più squallido simboleggiato dal nuovo business del mercato del sesso.

Ma la ricostruzione della tragedia , dei sentimenti di un bambino, del volto di un uomo è anche l’occasione per un confronto e per il riconoscimento della dignità e dell’intelligenza dell’avversario. Chen scopre che la sua capacità di emozionarsi non è un tratto debole della sua personalità: anzi, gli permette di comprendere, di valutare le opportunità o meno della rivelazione di ciò che sa, di rinunciare al ruolo di protagonista e anche di mediare, ove sia realisticamente necessario.

Chen esce rafforzato da un’esperienza che gli ha permesso di arrivare alla verità, ma soprattutto di trovare con se stesso e con gli altri una misura adeguata, un equlibrio che gli permette sia di soddisfare la sua esigenza di conoscenza e di giustizia, sia di confermare quella sua lealtà al partito che, nonostante le critiche, non viene mai meno.

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