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Nino Martino

Nino Martino

La lezione fantasma

L’apparentemente irrisolvibile nodo della didattica della scienza. L’errore didattico di un insegnamento della fisica senza laboratorio, un esperimento didattico su cavie umane

L’esperimento condotto a diversi livelli di studenti dal prof. Guido Pegna, descritto nell’articolo  “Un tormentoso interrogatorio! ”  è stato poi ripetuto da me in altre situazioni. E’ diventato quello che nel Jazz si chiama “uno standard”, un tema suonato con infinite variazioni che dipendono dal momento, dal pubblico, dalla storia del suonatore. E’ stato ripetuto con studenti di varie classi di liceo scientifico (ma tutti avevano fisica tra le materie) ma anche in vari corsi di formazione per gli insegnanti della scuola primaria. Gli insegnanti della scuola primaria studiano fisica solo al liceo, e poi sporadicamente alla università, in vari corsi di formazione. La cosa veramente interessante è che non c’è sostanziale differenza  di reazione fra gli studenti del liceo e gli insegnanti della scuola primaria, almeno inizialmente. Questo è forse ovvio: non hanno studiato fisica più degli studenti del liceo. Poi, in seguito, l’apprendimento di come si fa descrivere un fenomeno fisico che si è appena visto è molto più veloce (padronanza maggiore del linguaggio, maggiore facilità per le connessioni logiche).

Il risultato dell’esperimento, come riportato nell’articolo di Guido Pegna, è che gli studenti e gli insegnanti della primaria non sono in grado di descrivere correttamente ciò che hanno visto (salvo le solite lodevoli eccezioni, ovviamente).

L’esperimento NON è stato condotto con insegnanti di matematica e fisica del liceo, sia perché sembrerebbe offensivo, sia perché non troverebbero difficoltà a ricorrere alla teoria già conosciuta e formulata.

Sembra impossibile risolvere questa questione della didattica della scienza, in Italia (ma forse non solo in Italia).

– che lavoro fai?
– insegno.
– ah che bello, e che cosa insegni?
– matematica e fisica
E il gelo nell’interlocutore è immediato. Ci sono diversi tipi di prosecuzione:

  • non ci ho mai capito niente, al liceo
  • non sono mai stato portato per la matematica e la fisica
  • sì, non ci capivo niente, è tutto così logico, freddo. preferisco la letteratura, la filosofia e la poesia

E così via.
In passato, in classe ho fatto un altro tipo di esperimento, la cosiddetta “lezione fantasma”.

Dopo un po’  la classe mi aveva imparato a conoscere e diligentemente prendeva sempre appunti, riconoscevano in maniera indiscussa la mia autorità (che poi è anche una questione di presenza teatrale). Allora un giorno sono entrato in classe:
– avete capito la velocità istantanea della lezione scorsa?
Balbettii confusi, sguardi che si abbassano, coraggiosi che dicono:
– mica tanto
– per forza,- dico io – mi ero dimenticato di introdurre un concetto fondamentale.

Attimo di suspense

– Mi ero dimenticato di introdurvi il concetto di velocità gregoriana
– Ma professore! Perché non ce lo ha detto? Ecco perché non ci capivamo niente…
– Dunque, per quanto riguarda la velocità gregoriana…

Feci una premessa di qualche tipo, con vaga associazione libera rispetto alla velocità, poi un incredibile e evidente (per me) salto di logica che non c’entrava niente e poi una sequenza di passaggi matematici assolutamente rigorosi. Dopo aver riempito la lavagna, facevo un altro smaccato salto di logica e tiravo una conclusione assurda con riferimento alla velocità istantanea.

– Adesso avete capito che cosa è la velocità istantanea?
Molti annuirono, solo un coraggioso, di estremo eroismo, mi sfidò:
– Ma veramente non ho ancora capito..
(erano abituati da me a dirmi dove non avevano capito, in altre situazioni la sottomissione è totale).
– io ho capito!! – Disse la prima della classe, quella tutta otto e nove, compreso matematica e fisica.
– Ah, molto bene, vieni tu alla lavagna e prova a spiegargliela, allora

La prima della classe venne alla lavagna, fece la premessa, fece il salto di logica, fece tutti passaggi matematici rigorosi senza sbagliarne uno e alla fine fece il salto di logica conclusivo e tirò fuori la conclusone assurda . Ero impietrito dall’orrore….

– adesso hai capito? – chiesi al malcapitato eroe di prima.
– Ah, be’, sì – disse l’eroe rassegnato, deponendo mogio l’eroismo e rientrando nel gregge – adesso sì che ho capito…

Naturalmente quando seppero che li avevo presi in giro successe il finimondo e da allora in poi, finalmente, guardarono sempre con sospetto quello che insegnavo di fisica e matematica. (1). Non riponevano più cieca fiducia in quello che dicevo. Paradossalmente avevo acquistato anche più sutorità, non ne avevo persa.

Questo successe molto tempo fa, quando ancora non usavo il laboratorio di fisica in forma integrale.

 L’esperimento del prof. Pegna e l’esperimento della “lezione fantasma” sembrano sembrano diversi, il primo mostra una incapacità di descrivere cosa si vede con una semplice e stringata sequenza di causa ed effetto, l’altro sembra mostrare la incapacità di accorgersi di salti di logica quando questi sono seguiti o preceduti da passaggi matematici e logici rigorosi. E’ chiaro che esiste un aspetto importante, ovvero la fiducia che avevo conquistato presso gli studenti. A quei tempi in effetti volevo semplicemente mostrare loro che non si dovrebbe mai dare fiducia incondizionata a nessuno. Oggi però penso che, a parte il problema della fiducia, in quell’esperimento ci fosse qualche cosa di più. Se non c’è mai un riferimento a una pratica sperimentale, ogni teoria coerente al suo interno, anche la più assurda è equivalente a ogni altra teoria. Spesso gli studenti dicono di aver capito perché hanno seguito un passaggio algebrico e viceversa dicono di non aver capito perché non riescono a seguire un passaggio matematico. In realtà se ci fosse comprensione reale potrebbero smontare una falsa teoria (forse),o accorgersi di eventuali salti di logica. L’apprendimento di formule in sè, la risoluzione relativamente meccanica di esercizi di fisica, la risoluzione di equazioni sempre più complicate in matematica formano una abitudine che nasconde il vero problema didattico. E il disastro attuale dell’insegnamento della matematica e della fisica  non è mai stato superato aumentando il numero di ore di teoria. Sembra facendo così che la teoria sia indipendente dalla realtà, ma se questo fosse vero qualunque teoria sarebbe equivalente a un’altra, purché possegga caratteristiche di logica e coerenza.

È questo il distrattore nella lezione fantasma: i passaggi logici e il rigore formale dopo il primo salto logico. L’attenzione è spostata sui passaggi algebrici e sul tentativo di comprenderli e alla fine la conclusione non è importante, l’importante è stato seguire la teoria, tanto ogni riferimento alla realtà è cancellato, non c’è una pratica sperimentale che possa dire che quello che si sta facendo è in realtà pura follia (follia logica, perbacco…) e privo di senso.

Nota. Incidentalmente solo più tardi ho imparato a spiegare la velocità istantanea. Usando un piano inclinato e  una coppia di traguardi con fotocellule. Se si mette un traguardo in fondo al piano inclinato e un traguardo in cima e si misura il tempo impiegato per percorrere la distanza fra i due traguardi si ottiene una velocità media. Se poi lascio fermo il traguardo in fondo al piano e avvicino progressivamente l’altro ottengo velocità medie sempre più alte (viene eliminata una zona di bassa velocità). Facendo fare il grafico sperimentale dei vari punti ottenuti si vede che il grafico “si sdraia” e la velocità media tende a un limite, che è la velocità istantanea. La velocità istantanea non appare più come una cosa balorda ma come una cosa che nasce concretamente dalla pratica sperimentale. Ma di questo riferiremo in altro articolo, riportando l’esperienza di laboratorio degli studenti. Faccio notare che per descrivere formalmente quello che avviene nella pratica sperimentale è necessario introdurre un po’ di matematica nuova, ovvero l’analisi matematica e i limiti. L’algebra non basta. E questo diventa un buon modo per fondare la necessità dell’analisi matematica.

Aggiungo questo, rispetto all’articolo di Pegna: facendo lavori in classe con le maestre e con bambini dalla prima alla quinta elementare, la situazione appare un po’ differente. C’è curiosità, tentativo di descrivere ciò che si vede, tentativo di connettere cause ed effetti, magari in maniera impropria, ma molto spesso cogliendo effettivamente dei nessi, anche se espressi in una forma primitiva che non sempre permette all’insegnante di riconoscerli. Cosa che apparentemente sparisce in quinta liceo scientifico.

Il luogo comune è che la scuola uccide la… creatività (e si ridacchia felici della battuta…).

Dove sta il problema? Alcuni dicono che ci vogliono molte più ore. Altri dicono che ci vogliono più esercizi. Altri dicono che la società è cambiata e adesso c’è la rete. Altri dicono che gli studenti non seguono più i passaggi astratti (seguirebbero solo cose concrete, materiali – io credo esattamente l’opposto, hanno perso la concretezza di un riferimento sperimentale e quindi anche la necessaria capacità di astrazione). Altri dicono che…

Ma se uno accenna alla possibilità di fare laboratorio di fisica, di partire dal laboratorio di fisica per fare la fisica, la reazione è praticamente unanime:

– Non c’è tempo per fare ANCHE il laboratorio di fisica, già non capiscono così, figuriamoci se poi perdiamo tempo con il laboratorio
Oppure, più raramente:
– ma io lo faccio il laboratorio di fisica
– ah, bene, e come lo fai?
– Be’ prima spiego la teoria, per esempio la legge di Ørsted, poi li porto in laboratorio e faccio vedere loro che effettivamente le cose funzionano così. Loro prendono misure, fanno grafici ecc. Altrimenti come potrebbero fare misure in laboratorio se non sanno cosa misurare? Ma non capiscono lo stesso, sono disattenti, rumorosi. E’ un po’ una perdita di tempo, ma il laboratorio di fisica va fatto, cosa sarebbe la fisica senza il laboratorio? Poi non riescono nemmeno a elaborare la misure con la “teoria degli errori”…
– Ah, e come fai la “teoria degli errori”?
– nel solito modo, errore relativo, assoluto, scarti, scarto quadratico medio, sigma ecc. ma poi vanno in laboratorio e non la sanno applicare, eppure l’avevano vista a lezione…

Il fatto è che a noi la fisica l’hanno insegnata così. E tutt’oggi quando si fa il laboratorio di fisica nel corso di Fisica ( in molte situazioni, in quelle che conosco, salvo qualche eccezione) prima si fa la teoria degli errori (che sarebbe meglio non chiamare così) poi si va in laboratorio. Dobbiamo chiederci come siamo sopravvissuti noi. Che differenza c’era tra allora e oggi?  Ma è una ricerca da condurre. Oggi sappiamo che tutto ciò non funziona più, la società è veramente cambiata, ma non nel senso di rimbecillimento della razza. E stiamo pagando il prezzo dell’immobilismo della didattica “tradizionale” con un abbassamento progressivo della cultura scientifica. E’ evidente che ci sono sempre le eccezioni, tra gli studenti. Il discorso è troppo complesso per affrontarlo nello spazio di questo articolo. Il fatto è che era sbagliato anche allora insegnare così, ma la scuola non era di massa e c’erano importanti correttori. Mi ricordo che facevo esperimenti  per conto mio a quattro anni e costruivo forme inedite con il meccano per fare delle cose che mi servivano, c’era allora una possibilità (necessaria: non c’erano soldi e i giocattoli uno se li inventava) di rapporto concreto con la pratica sperimentale che oggi non c’è. I bambini di prima elementare non sanno fare le bolle di sapone, ad esempio, perché non riescono nemmeno a controllare la forza del soffio dentro la cannuccia.

 Ormai ci sono abbondanti ricerche contemporanee che mostrano come il cervello non sia una cosa data una volta per tutte, ma che si “plasma”, che sviluppa sinapsi e neuroni a secondo dell’uso che se ne fa, a seconda delle necessità. Esistono anche ricerche assai serie che mostrerebbero il fenomeno contrario, cioè una atrofizzazione di zone del cervello, per esempio, con l’uso continuo videogiochi, con ore davanti a cartoni animati (quelli contemporanei, tutti sincopati e a scatti, di azione), con ore davanti a uno schermo di computer per seguire le esperienze fasulle di social network. (2)

Allora forse sarebbe il caso di chiedersi come far sviluppare quelle capacità che sembrano mancare negli studenti. Forse la ripetizione di passaggi algebrici, o la risoluzione pavloviana (3) di equazioni non è la maniera giusta per fare matematica. Forse fare sequenze di simboli alla lavagna e dire che quella sequenza di simboli è la fisica e che, udite, udite, ha persino molte applicazioni pratiche non è la maniera giusta per mettere in grado gli studenti di superare l’esperimento “Pegna” o di accorgersi della “lezione fantasma”. Come succede  con lo schermo del computer o del video gioco, in questi casi forse alcune connessioni neuronali si … atrofizzano… La ripetizione esatta mnemonica in se stessa non produce connessioni. Le banche dati sono banche dati e basta.

Forse l’uso del laboratorio di fisica per far nascere problemi, per far nascere la necessità della teoria e della spiegazione, per mostrare relazioni tra le cose e per poi successivamente indagarle formalmente potrebbe essere una soluzione per “plasmare” il cervello e renderlo più duttile, capace di risposte e capace di cogliere nessi fra le cose del mondo. Con associata la necessità di relazionare quello che si è fatto. Quindi diventa necessario imparare un linguaggio descrittivo, per gradi, che risponda alla necessità che nasce dal laboratorio di comunicare ad altri in modo comprensibile quello che si è fatto, per consentire la ripetibilità altrove del proprio esperimento di laboratorio. E il linguaggio deve essere univoco, essenziale, preciso e comprensibile, senza associazioni libere o oscuri significati.

 La teoria, poi, diventa fondamentale ed è introdotta per la necessità di descrizione formale e di capacità predittive. E il passaggio a teorie sempre più astratte formalmente fa scoprire che non è vero che per capire le cose bisogna essere “concreti”, ma che per capire le cose (dopo full immersion nella pratica di laboratorio) bisogna essere astratti.

Ho detto, non casualmente, “poi”. Il passaggio delicato è la formulazione della teoria (o anche di modelli teorici).

E da qui nasce anche la necessità della costruzione di un “linguaggio scientifico” che ha molti “falsi amici” con il linguaggio comune ( per chi  sa la fisica: provate solo a leggere a voce alta le equazioni di Maxwell in forma integrale e vi accorgerete della quantità di “falsi amici”. Sembra italiano, ma dice tutt’altro, niente riferimenti al benessere provocato dal pane integrale, o al flusso di coscienza, o pane integrale fatto in circolo (sic! però l’idea di fare il pane integrale collettivamente in circolo potrebbe affascinare qualche setta…). E’ un linguaggio completamente incomprensibile, se non è costruito passo dopo passo.

Si dice molto giustamente che bisogna investire più soldi nell’istruzione, nella scuola. La prima cosa che si fa a questo proposito è quella facile: si investe nell’edilizia scolastica. E’ di tutto riposo. Le scuole cadono a pezzi e noi le ricostruiamo belle nuove, che problema c’è? Così si da perfino fiato all’economia dell’edilizia e si fa circolare denaro (anche sotto forma di mazzette?). Visto? Abbiamo investito soldi nella istruzione.
Oppure aumentiamo il numero degli insegnanti e risolviamo il problema dei precari.
Intendiamoci, non sono cose sbagliate, ma non risolvono il vero problema della didattica (in particolare quella di cui ci stiamo occupando, quella della scienza).

Una volta, a very long time ago, ho insegnato in una sperduta isola del sud Italia (Lipari). Non c’era laboratorio di fisica. Con i miei studenti ho costruito un termometro ad olio extravergine di oliva (di qualità eccellente) utilizzando il … gabinetto come stanza di laboratorio (erano gabinetti spaziosi…). Quegli studenti si ricordano ancora oggi di cosa è la legge della dilatazione termica e della differenza fra temperatura e calore, e una serie di altre cose.

PS
NON sto dicendo che “laboratorio povero è bello”. Se uno ha a disposizione schede di acquisizione dati – che ormai costano poco – e un computer, be’, è meglio, in taluni casi (non sempre). Sto dicendo che il problema da risolvere NON è nella “tecnologia”, ma è nella metodologia didattica che si usa. Come non sto dicendo che non bisogna usare la memoria o che non bisogna ricordare le formule, o i passaggi algebrici, o che fare esercizi è inutile. Tra l’altro un bel discorso da fare sarebbe quello sui problemi di fisica…

Note

(1) Un fisico francese molto noto, Levy-Le-Blonde, ha spesso fatto lezioni ai suoi studenti (all’università) procedendo al contrario: faceva delle lezioni dicendo cose sbagliate e i suoi studenti dovevano dire dove e come erano sbagliate, ma questo modo di fare si rivolge a ben altro livello. E’ molto difficile smontare una teoria sbagliata, ma che appare giusta, non è per niente banale.

(2) Demenza Digitale (Corbaccio Benessere) di Manfred Spitzer, 2013. Contiene i risultati di molte ricerche condotte in diverse parti del mondo con criteri scientifici

(3) Pavlov, studioso russo che studiò i riflessi, per esempio sui cani. Il suo esperimento rimane un classico. Ad un cane si fa sentire il suono di una campanella e contemporaneamente si mette il cibo. Questo molte volte di seguito. Alla fine si suona soltanto la campanella. E il povero cane si mette a salivare abbondantemente. L’esperimento fu ripetuto con dei vermi, inserendo elettrodi e associando una scarica elettrica con un lampo di luce. In seguito il verme si contraeva convulsamente al solo lampo di luce e senza scarica elettrica. Per gli animalisti inorriditi: era un periodo che si facevano esperimenti sugli animali. Ma era già un progresso. Prima si facevano esperimenti sull’utero delle donna con il cemento, in campi di concentramento (In realtà non erano proprio donne, donne ariane, ma femmine di un’altra razza). Cosa c’entra Pavlov con la didattica della scienza? C’è la convinzione diffusa che per imparare la matematica bisogna fare tanti esercizi. Il risultato è interessante: gli studenti sanno risolvere quel tipo di esercizi, in effetti, ma basta darne uno lievemente diverso ed è il disastro. Una didattica pavloviana (ma non fatemi dire che sto negando il valore dell’esercizio di matematica, sto dicendo ben altro!).

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