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Nino Martino

Nino Martino

si parte da un punto e subito ci si ramifica in mille rivoli, tutti importanti e alla fine si capisce (forse) l’albero. Street Art: riparare dal freddo gli alberi con magliettina di lana colorata

Un corso di formazione a Sassari – elasticità 2. Si procede con il lavoro di gruppo per capire come definire l’elasticità dei corpi, come misurarla e i problemi pratici che si incontrano

In questo incontro siamo partiti dal problema di definire meglio cosa è l’elasticità dei corpi per cercare di arrivare a delle misure e delle definizioni formali. E’ stato molto bello e divertente vedere come, attraverso un lavoro collettivo di ipotesi e  verifiche e diramazioni successive e scontri brutali con la materia, si possa passare via via a livelli diversi, dalla scuola dell’infanzia alla formulazione matematica e ai grafici della scuola secondaria di primo grado. E’ diventato così un argomento verticale. Un argomento che si può inserire in un curricolo verticale in un istituto comprensivo e con una metodologia che riesce a far raggiungere i traguardi delle indicazioni nazionali sia ai bambini, sia agli studenti. E poiché ci si divertiva insieme (pensate un po’) a montare, smontare, ad affrontare problemi pratici, a fare astrazioni e a rifletterci sopra è stato fatto un commento: “ma perché non si insegna così?…”. Certo, perché non si insegna così nell’anno di grazia 2012?

Partendo dall’incontro precedente abbiamo portato vario materiale, un po’ raggranellato nei laboratori di falegnameria e di scienze e un po’ portato da … casa.

Abbiamo fatto inizialmente un primo tentativo di suddividerci in gruppi di lavoro. Vi erano diverse ipotesi di raggruppamento ma alla fine ha prevalso il raggruppamento verticale (materna-primaria-secondaria).

In cinque minuti abbiamo abbandonato il lavoro di gruppo e siamo ritornati al collettivo unico.

Questo lo cito perché è interessante. Non è che si debba fare il lavoro in gruppi per forza, non c’è nessun dogma a o fanatismo collegato al lavoro in gruppi diversi. Se si vede che i tempi non sono ancora maturi per fare così, perché è necessario mostrare ancora il tipo di cose da fare, suggerire, inventare, verificare perché insistere? Insistere significa andare al fallimento, non è didattico. Anche nella classe reale a volte si può procedere così e a volte non si può procedere così. La flessibilità del metodo … fa parte del metodo.

Avevamo adesso materiali diversi. Liste di legno, tondini metallici (dello stesso materiale e diametro, ma uno vuoto e l’altro pieno) ecc.

Si è deciso di fissare inizialmente la lunghezza. Ovvero la distanza dall’estremità libera del listello al punto di fissaggio al tavolo con una morsa (in effetti per problemi tecnici della morsa non si può fissare esattamente al bordo del tavolo e si decide quindi di fissare la morsa sempre alla stessa distanza dal bordo del tavolo.

Non banale. In genere si trascura spesso il fatto che per poter confrontare misure e esperimenti è necessario fare gli esperimenti nelle stesse condizioni. Se io faccio cadere un corpo in un’aula con le finestre chiuse oppure aperte in un giorno di maestralata ottengo due fenomeni diversi. L’esperimento va condotto nelle condizioni che noi supponiamo siano le migliori per osservare il fenomeno che vogliamo studiare. Difficile studiare la caduta dei gravi e dell’influenza dell’attrito dell’aria su di essa, all’aperto in giorno, appunto, di forte maestrale. Sembra ovvio ma a volte ci sono particolari che sfuggono

 A questo punto rimaneva il problema dei pesi da attaccare.

Il primo problema pratica è come e dove attaccarli. Si è convenuto di attaccarli nello stesso punto.

Il secondo problema è stato come variare i pesi e quanto erano pesanti. Avevamo a disposizione tanti pesetti con ganci, apparentemente tutti uguali.

Come facciamo a essere sicuri che sono veramente uguali tra di loro?

Qualcuno ha risposto si guarda quello che c’è scritto sopra. E’ vero, ciascuno dei pesetti riportava la sua misura, che era la stessa cifra per tutti. Ma questo che garanzia ci da’? Bisognerebbe avere una bilancia che non abbiamo. Per passate esperienze si scoprirebbe che malgrado quello che ci è scritto sopra in realtà ci sono oscillazione di grammo o decimo di grammo.

Tutto dipende dalla precisione che volgiamo avere delle nostre misure, ma questo è un discorso a parte che faremo nei prossimi incontri.

Si è convenuto di non dare importanza al valore in grammi, ci siamo accontentati di mettere un pesetto, oppure due pesetti, oppure tre pesetti. Il pesetto stesso è assunto come unità di misura (nella ipotesi che siano tutti uguali).

 Anche questo non è del tutto banale. La scelta dell’unità di misura è sempre arbitraria, non può che essere così. Poi, per esigenze di comunicazione dei risultati conviene che la comunità scientifica a livello mondiale adotti la stessa unità di misura. Le conversioni tra una unità di misura di lunghezza in una altra unità di misura di lunghezza è sempre possibile, ma è di scomodità allucinante. Immaginate solo a esprimere le dimensioni del foglio di carta A4 che avete probabilmente in mano in pollici invece che in centimetri. In un passo successivo è sempre possibile convertire i nostri pesetti-unità in grammi.

A questo punto è sorto un altro tipo di problema: come attaccare di fatto i pesetti all’estremità dell’asticciola?

Poiché avevamo a disposizione una quantità di elastici e di spago, alcuni hanno proposto un elastico (comodo, perché non c’è bisogno di fare il nodo, è già fatto ad anello), altri lo spago. Ma quanto è lungo lo spago? E poi – domanda insidiosa – quanto deve essere lungo lo spago?

Usare spago di diverse lunghezze altera i risultati delle misure? E se io uso un elastico al posto dello spago il fenomeno viene alterato?

 Quasi tutti (mi sembra solo una persona abbia avanzato timidamente che forse era esattamente lo stesso… subito sommersa dalle altre ipotesi) hanno detto che la lunghezza dello spago influenzava la misura e che usare un elastico al posto dello spago avrebbe sicuramente avuto un effetto diverso

 questo non è per niente banale come potrebbe pensare qualche fisico non pratico di didattica. Perché è venuta in mente a quasi tutti questa idea? Dopo un po’ uno si abitua all’idea che è meglio fare gli esperimenti nelle stesse condizioni. Non è per niente ovvio che uno spago lungo o uno spago corto per appendere un pesetto rappresentino due esperimenti condotti nelle stesse condizioni. Apparentemente le condizioni sono assai diverse. Così usare l’elastico apparentemente cambia completamente le condizioni: per collegare il pesetto all’estremità dell’asticciola uso un corpo che a sua volta si deforma. E’ istintivo pensare che le condizioni NON sono le stesse, perché dovrebbero esserlo? Questo fa vedere che riprodurre un esperimento nelle stesse condizioni non è così semplice…

 Come si fa a decidere? Bisogna costruire un esperimento laterale che mi dica se la lunghezza dello spago influenza il fenomeno della flessione dell’asticciola oppure no, e se usare l’elastico sia la stessa cosa che usare lo spago.

 Se la lunghezza non conta è molto meglio, non si avrebbero troppi problemi per esempio per fissare i nodi e così via (cercare di fare dei nodi che non alterino troppo la lunghezza è … allucinante). E se il materiale di collegamento non conta ci si aprono molte possibilità tecnico-costruttive…

 Io avei proceduto con misure singole, ma la proposta venuta fuori era di procedere con il confronto che è eccellente. Il confronto del comportamento di due fenomeni in molti casi fa apprezzare differenze che sono difficili da trovare all’interno degli errori sperimentali.

Con un po ‘ di fatica (di tipo manipolatorio-costruttiva) si prendono due listelli di legno uguali si mettono alla stessa distanza del punto di appoggio-fissaggio, sullo stesso banco, si appende un peso uguale a ciascuno dei due, uno con l’elastico l’altro con uno spago.

La flessione dei listelli è identica (!), si vede benissimo dal confronto visivo..

Si mettono due lunghezze di spago diverso, si ripete, la flessione dei due listelli è la stessa.

 Usare lunghezze di spago diverse, elastici, cordicelle, fili di lana ecc non influenza il risultato dell’esperimento e questo ci apre diverse possibilità costruttiva per l’esperimento madre.

Risultato non male e interessante da molti punti di vista. Anche al liceo spesso gli studenti non riescono a concepire che una forza possa essere spostata nel suo punto di applicazione (ovviamente in certe condizioni che non sto a dire) senza cambiare il risultato del fenomeno. Questo si può far vedere in questo modo a diversi livelli, come sempre.

 Adesso siamo pronti a fare l’esperimento vero e proprio. Appenderemo prima un pesetto, poi due, poi tre e vedremo che succede della flessione.

 A questo punto si apre una discussione su come fare a misurare la flessione dell’asticciola. Alcuni propongono di mettere un foglio laterale bianco e segnare i punti di quanto si flette con uno due tre pesetti. Ma c’è un problema: i tre punti non risultano essere in verticale uno rispetto all’altro, ma sono disposti su una curva (è logico, ma lì per lì uno non ci pensa).

Il metodo adottato poi è un altro: un’asta bianca di plastica viene messa quasi a contatto con il bordo dell’asticciola.

Si segna il punto di partenza. Poi quello con uno, due, tre pesetti.

Il risultato è spettacolare: i punti sono equidistanti uno dall’altro, in modo chiarissimo.

Certo se voglio tradurre in misure di centimetri lo posso fare con comodo in seguito.

Se io faccio le misure posso costruire una tabellina di questo tipo, in cui i numeri sono coerenti con quello che abbiamo osservato (ma sono di fantasia, diciamo una fantasia coerente…)

 

Allungamenti

pesetti

10

1

20

2

30

3

 

Anche osservando la tabella salta subito evidente la regolarità: se io raddoppio il pesetto raddoppia anche l’allungamento e la differenza tra un allungamento e il successivo è sempre la stessa.

Se io divido il numero che esprime l’allungamento con il numero che esprime il pesetto ottengo sempre lo stesso rapporto per tutte le coppi:

$$\frac{10}{1} = \frac{20}{2} = \frac{30}{3} = 10$$

 Il rapporto tra allungamento e pesetti è costante.

 $$\frac{allungamento}{pesetti}=costante$$

 è venuta fuori una equazione (se vogliamo dare un nome). E da qui, seguendo un minimo di matematica:

 $$allungamento = costante \cdot pesetti$$

 dalla tabella posso passare a un grafico, mettendo sull’asse verticale l’allungamento e sull’asse orizzontale il numero dei pesetti. Viene fuori una cosa di questo tipo:

 

E’ una retta!

Se poi voglio fare l’evoluto scrivo l’equazione della retta:

 $$y=kx$$

 Niente di misterioso: ho cambiato solo il nome alle cose, l’allungamento l’ho chiamato $y$, la costante l’ho chiamata $k$ e il numero dei pesetti l’ho chiamato $x$.

Cambiare il nome delle cose non è tutto sommato una cattiva idea. Adesso io ho una relazione tra due oggetti, $y$ e $x$, che mi dice che $y$ è uguale a $x$ moltiplicato $k$, qualunque cosa sia $y$ e qualunque cosa sia $x$.

In natura esistono molte relazioni di questo tipo. L’astrazione compiuta mettendo y e x mi consente di rappresentarle tutte, invece di scriverle una per una, e così mi posso rendere conto di una una serie di proprietà di questa relazione indipendentemente dagli oggetti che coinvolge, sto facendo matematica!

 Osservate il procedimento , il metodo seguito. Non ho fatto prima le equazioni, o prima le divisioni, o prima le frazioni, il mcm, il mcd ecc ecc. Nell’osservazione della natura e delle sue regolarità ho fatto sorgere la necessità di una descrizione di ciò che osservo, una descrizione che sia possibile trasmettere ad altri, una descrizione che mi consenta anche di prevedere: se invece di mettere un peso ne metto uno e… mezzo, che succede? A questo punto, se la relazione è quella del grafico posso andare a vedere attraverso la retta quanto sarà l’allungamento corrispondente. Il mondo è fatto fortunatamente da oggetti che sono in relazione fra di loro, che non sonio indipendenti uno dall’altro, non è un mondo caotico e casuale. Lo studio delle relazioni è fondante nella nostra cultura, non è solo questione delle scienze. Una volta che viene fuori il rapporto, la frazione andrò ad esaminare le varie proprietà delle frazioni e potrò anche divertirmi a sommare frazioni apparentemente diverse e a escogitare trucchi matematici per farlo (ma questo, se pur interessante, è off topics rispetto al tema di questo corso…)

 Un’altra osservazione. Quello che è venuto fuori spontaneamente è leggermente diverso da quello che c’è scritto nei sacri testi. Quello che c’è scritto nei sacri testi è:

 $$F=k\cdot x$$

mentre quello che abbiamo ricavato sperimentalmente durante il workshop è:

 

$$x=k’\cdot F$$

e la nostra costante è l’inverso di quella canonica:

 $$k’=\frac{1}{k}$$

(Se questo vi sembra complicato trascuratelo, dipende dal livello di formalizzazione che uno vuol avere – certamente nella scuola dell’infanzia non se ne parla nemmeno, nella primaria forse e nella media sarebbe, invece, il caso di parlarne)

 E’ successo molte volte, nella pratica sperimentale anche con gli studenti de liceo. Le due formule sono assolutamente equivalenti, è solo una definizione diversa della costante. Questo lo dico per non creare choc alla visione di formule diverse. La cosa è evidentemente arbitraria. Ma la comunità scientifica, storicamente, ha adottato la prima.

 A questo punto si è variata la distanza dal punto estremo libero dell’asticciola dal punto di fissaggio sul banco e si sono rifatte le “misure”, riportando tacche di diverso colore. La distanza scelta era la metà di quella precedente.

Di nuovo le tacche sono equidistanti una dall’altra, di nuovo siamo in presenza di una “proporzionalità”, di nuovo possiamo costruire una tabella e di nuovo viene fuori una retta nel grafico corrispondente. Ma le tacche sono più ravvicinate, la costante è più piccola (nel nostro caso di come l’abbiamo definita), e la retta risulta meno inclinata, meno ripida, ci vuole molto più peso per ottenere lo stesso allungamento.

La relazione tra allungamento e pesetti ha la stessa forma ma la costante $k$ ha un valore diverso.

 Adesso abbiamo preso un materiale diverso: una bacchetta di metallo piena. Rifatto l’esperimento ancora si trova una relazione di proporzionalità e una retta nel grafico, l’unica cosa che cambia non è la relazione ma la costante $k$ che è nella relazione.

Abbiamo tra l’altro ricavato dall’esperimento il concetto matematico di proporzionalità diretta (concetto matematico che è stato costruito per descrivere questi fenomeni, molto abbondanti, che esistono in natura)

 Se adesso usiamo una bacchetta metallica, dello stesso diametro e dello stesso materiale della precedente ma “cava”, di nuovo abbiamo la stessa relazione tra allungamento e pesetti, cambia, di nuovo, solo la costante elastica $k$.

 La costante elastica identifica il corpo in esame. Ogni corpo ha la sua costante elastica e questa dipende da fattori “geometrici” (come dimensioni, lunghezza, cavità o meno) e da fattori del materiale e della struttura interna del materiale.

Ultimissima osservazione. Qualcuna di voi mi ha chiesto come si può far vedere che tutti i corpi hanno la loro elasticità. Mi siedo sul banco e il banco mi regge perché ha una sua elasticità. Perché non vedo la flessione? La flessione è molto piccola, il banco ha una costante $k$ (quella canonica, dei testi scientifici) grandissima. Bastano pochi millimetri per opporre una forza pari al mio peso. Forse anche meno.

 Si potrebbe forse fare così: si prende un asse da falegname e la si pone su due appoggi relativamente distanti. Si mette un peso al centro (tipicamente uno studente o qualche cosa di abbastanza pesante) e l’asse si flette visibilmente. Avvicino i due appoggi. Avevamo già visto che se la lunghezza diminuisce la costante elastica (quella canonica dei testi scientifici!) aumenta. Adesso la flessione è più piccola. Avvicino ancora gli appoggi – più piccola ancora. E così via. Anche quando non apprezziamo visibilmente la flessione possiamo immaginare che ci sia, ma così piccola che è difficile da misurare. E anche da qui possiamo costruire dei concetti matematici delicati come il limite, di che cosa succede al limite… (questa è la mia proposta, ma pensiamoci su, magari ne viene fuori una più facile…).

 A forma di postscriptum: perché non ho fatto in modo da ricavare subito la legge fisica dell’elasticità come normalmente viene scritta? C’è un motivo: la costruzione delle relazioni matematiche ha al suo interno una relativa arbitrarietà. Pensate alle espressioni matematiche e alla loro semplificazione. Semplificare una espressione matematica ha il senso di far vedere che una certa cosa che sembrava complicata invece è assolutamente equivalente, oppure che due espressioni che apparentemente sono diverse sono in realtà la stessa cosa. Nella pratica di laboratorio con gli studenti viene istintivo ricavarsi la legge dell’elasticità nella forma che abbiamo ricavato noi. E’ normale. E vi ho fatto vedere che è assolutamente equivalente. Scusatemi se con queste parole vi ho complicata la vita, ma è interessante vedere proprio come si costruisce la teoria fisica, biologica, matematica e così via…

Alla prossima….

Una premessa

L’elasticità nel mondo per parlare d’altro

credenze comuni, misure di elasticità, disinganni, apparenze e altre cose ancora

Sulla costruzione di un curricolo verticale

La ricaduta nelle classi: l’elasticità con i ragazzi

La ricaduta nelle classi: giochi con famiglie di molecole d’acqua allo stato solido, liquido e gassoso

La ricaduta nelle classi: Le stupefacenti trasformazioni di una molecola d’acqua

Sulla luce prima parte

Sulla luce seconda partes

jazz- dipinto di Matisse

In memoria del professore Franco Mura, dal cuore rosso, promotore e organizzatore di questo corso. Oh, amico mio, quante cose avremmo potuto fare ancora, insieme.

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